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Lo stato della disunione

Il discorso di Trump al Congresso e le sue mosse spregiudicate sono solo l’ultimo tradimento ai princìpi americani

In sintesi:
  • L’annuncio di una legge per reprimere il dissenso nelle scuole sembra uscire da un regime non democratico
  • Dall’Ucraina, alla Groenlandia al Lesotho, i deboli non vengono mai risparmiati
Visuale dall’alto
(Keystone)

Fedele al concetto per cui più parli, meno cose sensate hai da dire, Donald Trump ha imperversato al Congresso per quasi un’ora e quaranta, sfiorando i 100 minuti (il vecchio record, di Bill Clinton, era di 89). Prima che Trump aprisse bocca, molti si erano affrettati a dire che il suo non sarebbe stato tecnicamente un Discorso sullo stato dell’Unione (che si tiene dal secondo anno in carica al fine di illustrare i risultati del proprio operato). A cose fatte si può però dire che non lo è stato nemmeno praticamente, trasformatosi ben presto in un discorso sullo stato della disunione, se non addirittura della distruzione di un Paese i cui ideali sembrano definitivamente saltati per aria. Per carità, solo ingenui e fanatici credono che gli Stati Uniti siano stati finora i portabandiera della fratellanza e della benevolenza disinteressata (la lista di nefandezze è così lunga che è inutile iniziarla sapendo di non avere abbastanza spazio per finirla), ma con Trump siamo ben oltre al fare cose turpi per mantenere una posizione dominante. Siamo al fare cose turpi e vantarsene, umiliando chiunque si metta in mezzo. E anche chi non c’entra nulla, per il solo gusto di abusare del proprio potere.

Meno di una settimana fa il mondo ha assistito all’imboscata mediatica a Zelensky, un’esibizione di bullismo di Stato applicata da Trump, Vance e da quell’altro leccapiedi che, intervenendo da dietro, come ogni vigliacco, si è messo a disquisire di stile e rispetto senza possederne alcuno. Martedì, il premier canadese Trudeau è stato chiamato “governatore” da Trump, che insiste con questa storia del 51esimo Stato Usa. Lo ripete da tempo e continuerà a farlo, sapendo che anche le più grosse stupidaggini, se lasciate circolare liberamente, diventano parte dell’aria che respiriamo. Pareva scherzasse quando diceva che voleva riprendersi il Canale di Panama: in meno di due mesi, BlackRock, il grande moloch dietro gli interessi americani nel mondo, ha acquistato due porti sul Canale. E pare che scherzi quando parla di annessione della Groenlandia. Ora lo sappiamo. Non scherza (ieri ha specificato: “Sarà nostra, in un modo o nell’altro”).

Inoltre, nel tentativo di dileggiare gli aiuti dell’amministrazione Biden alla comunità Lgbt del Lesotho, Trump ha parlato di “nazione africana di cui nessuno ha mai sentito parlare”. Frase che dimostra in effetti quanto sia piccolo e politicamente insignificante il Lesotho, ma ancor di più quanto sia piccolo Trump, che gonfia il petto con i deboli e poi si ritrae davanti alla Russia di Putin.

Basterebbe questo per avere paura, come si ha paura della guardia che arresta il ladro di mele e si gira dall’altra parte quando il ricco e potente ruba all’ingrosso. Eppure c’è di peggio. Trump ha detto che presto ci sarà la pena di morte per chi uccide un poliziotto nel Paese in cui è la polizia a essere tristemente nota per ammazzare poveri cristi e farla franca.

Nella miriade di annunci, decreti e parole al vento c’è una cosa, passata sottotraccia, che fa ancora più paura. Trump ha annunciato lo stop dei fondi federali a scuole e università che consentiranno “proteste illegali” (qualunque cosa significhi, visto che il diritto di manifestare è tutelato dalla Costituzione). “Gli agitatori saranno imprigionati, gli stranieri rimpatriati e gli americani, nei casi più gravi, espulsi”. Se così fosse, sarebbe l’inizio della fine del dissenso, l’anticamera di un regime. Oltre che un capovolgimento di senso rispetto all’inno americano, il cui ritornello parla di “terra delle persone libere e casa dei coraggiosi”. Inno con cui Trump si riempie la bocca senza riconoscerne il sapore.