L’Ucraina lasciata al buio da un presidente americano colto da irrefrenabili pruriti filorussi e neoimperiali, ha scombussolato gli equilibri planetari
Si vis pacem, para bellum. La locuzione latina riecheggia come un mantra, non c’è neanche più bisogno di traduzione. Ma mettiamoci prudentemente almeno un punto interrogativo: la complessità di un mondo caotico impone riflessione, non scorciatoie. La gangsterizzazione della scena internazionale, dominata da criminali di guerra, mentitori seriali, paranoici megalomani, golpisti, impone una risposta europea coesa e urgente. Di colpo la nostra democrazia appare come una fortezza asserragliata e in pericolo.
L’Ucraina lasciata al buio da un presidente americano colto da irrefrenabili pruriti filorussi e neoimperiali, ha scombussolato gli equilibri planetari. Trump destabilizza, piace tanto all’estrema destra (che a casa nostra, tradizionalmente più morigerati chiamiamo semplicemente destra), a qualche confuso balordo nostalgico dello stalinismo che vaticinava una necessaria operazione di “denazificazione” e ai moneyman mondiali pronti a cambiar casacca per salire sul carro del vincitore pur di gonfiare a dismisura le loro bisacce.
Anche al Wef di Davos, la claque economico-finanziaria non ha esitato un secondo per inscenare una ola a favore di Trump e dello sbalestrato suo seguace argentino che esibisce una motosega a mo’ di tripudiante fallo. Pregnante la sintesi nell’appello a favore dell’Europa del deputato francese Claude Malhuret: “Washington è in mano a un imperatore incendiario, attorniato da pavidi cortigiani e da un buffone sotto ketamina incaricato di epurare la funzione pubblica”.
Le pulsioni di dominio e le logiche di spartizione trasformano i popoli altrui in oggetti, ammonisce il presidente italiano Mattarella. “ReArm Europe”: la risposta dell’Ue segue, in questo contesto impazzito, una logica cristallina. Di fronte alle minacce che pone il neo-imperialismo russo (molto reale soprattutto per i Paesi baltici o la Polonia) ma anche americano (chiedere a Danimarca, Groenlandia o al Canada) il pacchetto di 800 miliardi in armamenti non sembra fare una grinza.
Il fatto che vi si oppongano improbabili pacifisti con simpatie neonaziste e filoputiniane (Matteo Salvini) non può che deporre a favore del piano di Ursula von der Leyen. Sarebbe tuttavia errato cancellare con un colpo di spugna le obiezioni. Certo vi sono quelle semplicemente pregiudiziali, che convergono nel lungo piagnisteo anti-Ue promosso a nuovo sport agonistico da burattinai e loro follower. Ma vi sono pure quelle circostanziate (meglio un coordinamento militare europeo che un riarmo dei singoli Stati – Elly Schlein) e quelle più laceranti di ampi settori della società, soprattutto a sinistra, che non si limitano a un consumato aforisma di Gino Strada e vedono dirottare su cannoni e missili i fondi che potrebbero essere destinati a ospedali o scuole.
Nella coscienza di tanti resiste una sottile paratia che si oppone a un’Europa delle armi. Però: essere pacifisti significa rinunciare a difendersi? Il campo realista, favorevole al riarmo ha gioco facile: no alla resa, la realpolitik non consente tante esitazioni, impone muscoli, non solo quelli dell’oratoria. Ma anche qui leciti dubbi: dove ci porterà questa escalation? Sta di fatto che opporsi al riarmo significa, senza tanti giri di parole, doversi fidare della gang del Cremlino. Ora, per riprendere una nota immagine allegorica americana: quanti di noi acquisterebbero una macchina d’occasione da uno come Vladimir Putin?