La misura voluta dal parlamento penalizza soprattutto persone con redditi modesti. E non promuoverà granché la responsabilizzazione degli assicurati
Ha ragione la consigliera agli Stati Esther Friedli (Udc/Sg), quando afferma che “non possiamo continuare a consumare sempre più prestazioni sanitarie per poi lamentarci dei costi e dei premi elevati”. Il richiamo alla responsabilità personale di ciascun assicurato è sacrosanto. Ma la ricetta che la maggioranza del parlamento prescrive è ingiusta e inefficace.
Ingiusta perché un aumento della franchigia minima dell’assicurazione malattie obbligatoria (LAMal) – sarà il Consiglio federale a decidere di quale entità e da quando – penalizza soprattutto persone con redditi modesti. Inefficace perché non centra l’obiettivo che si prefigge (o, se mai dovesse farlo, sarebbe a un prezzo elevato): frenare l’aumento dei costi sanitari, dissuadendo le persone dal recarsi troppo spesso dal medico.
Il reddito – lo ha confermato un recente studio di Helsana – riveste un ruolo fondamentale nella scelta della franchigia: più alto è, più è probabile che venga preferita la ‘massima’ (2’500 franchi, scelta dal 36,6% degli adulti); invece, le persone meno abbienti, anziane e/o malate croniche – che sanno di dover andare con una certa regolarità dal medico e in farmacia – tendono a scegliere una franchigia bassa. La minima, perlopiù (300 franchi: nel 2023 l’ha preferita il 45,2% dei 6,6 milioni di assicurati adulti, il 67% tra gli ‘over 65’).
Non saranno i più poveri – come la sinistra ha lasciato intendere in parlamento a Berna – a pagare il prezzo di un aumento della franchigia minima. Per chi percepisce le prestazioni complementari (Pc) o l’aiuto sociale, non cambierà nulla: la franchigia continuerà a essere coperta dallo Stato. La misura si farà sentire invece per la grande maggioranza degli assicurati con franchigia ordinaria. Si tratta in prevalenza di persone con redditi/pensioni bassi o medio-bassi: coloro le cui spese di cassa malati sono solo parzialmente coperte dalle Pc, ad esempio; o gli stessi beneficiari di una riduzione individuale del premio (franchigia esclusa); oppure ancora chi per poco rimane tagliato fuori dai sussidi.
Già oggi la Svizzera è tra i Paesi dell’Ocse quello dove le persone pagano di più di tasca propria per farsi curare. I dati Ocse mostrano anche che, nel confronto internazionale, gli svizzeri sono piuttosto restii a recarsi dal medico. E una fetta crescente della popolazione (fino al 20%, secondo alcuni studi) rinuncia all’una o all’altra cura – o dirada le visite mediche – per ragioni finanziarie.
Ora, non saranno quei 50, 100 e forse nemmeno quei 200 franchi in più che gli assicurati con franchigia ordinaria dovranno sborsare ogni anno (in cambio di un modesto sconto sul premio), a modificare in modo sostanziale la loro propensione ad andare dal medico. Difficile credere che chi non ci ha mai pensato due volte prima di compiere il passo, un domani – con una franchigia a 350, 400 o 500 franchi – lo farà. Il comportamento degli assicurati non dipende solo dalla leva finanziaria. Anzi. Altri fattori – le stesse condizioni di salute, anzitutto – hanno un peso maggiore. A meno che in gioco non vi siano somme ingenti, gli incentivi finanziari negativi non incideranno in maniera significativa sulla famosa ‘responsabilità personale’. Avranno dunque un’efficacia limitata sulla riduzione dei costi della salute.
I fautori di una franchigia minima più alta promettono un aumento moderato. Per fortuna. Ma allora a cosa serve? Non sarebbe meglio lasciare le cose come stanno, anziché far pagare di più a chi vive con un reddito modesto, rischiando così di fomentare il pericoloso (e costoso, in fin dei conti) fenomeno della rinuncia alle cure?