laR+ LA TRAVE NELL’OCCHIO

Forse la stupidità è una malattia

La prevalenza del cretino in politica una volta era paventata, oggi è normalità documentata

In sintesi:
  • Le liberaldemocrazie si sono rifugiate in Europa
  • Le ostentazioni del ciarpame politico in auge non lascia speranze di redenzione
Per il suo progetto di pace perpetua Kant si era ispirato all’immagine di un grande cimitero
(Keystone)
10 aprile 2025
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Hillary Clinton dichiara di “essere colpita” dalla stupidità dei personaggi che popolano il governo americano: non basta essere forti, bisogna essere intelligenti! Concordo. Gli imbecilli stanno straripando in politica: coltivano un rapporto confidenziale e cameratesco con la stupidità. Ci vanno proprio a braccetto. La prevalenza del cretino in politica una volta era paventata, oggi è normalità documentata: attesta patologie che sono diventate la quotidianità che ci governa. Sulla faccenda si è soffermato recentemente Silvano Toppi con impareggiabile acume (Naufraghi, 2 aprile 2025). Insisto a modo mio perché il fenomeno non depone a favore della qualità del fare politica.

Già scrissi attorno al paradosso di Dunning-Kruger: lo rappresenta chi combina l’ignoranza e l’incompetenza con la sicurezza di sé e la convinzione di avere capacità superiori. È una distorsione cognitiva che si manifesta con atteggiamenti arroganti, tendenze alla sopraffazione e al sopruso, incapacità di un confronto dialettico. I ministri di Trump ne sono un terrificante campionario. Difficile scegliere il peggiore. La segretaria alla sicurezza americana, tale Kristi Noem, riassume il pensiero del “commander-in-chief”: si esibisce davanti a una gabbia con uomini seminudi trattati come bestiame da macello. Lo spettacolo è orrendo: esalta lo sprezzo della dignità umana e ricorda Guantanamo. Ributtante. Ha ragione il giornalista Michele Serra: troppo ignorante, troppo arrogante la signora Noem per rendersi conto della natura della sua esibizione. E pure lo scrittore Maurizio Maggiani mi trova d’accordo: di fronte a certi spettacoli, “è ora di finirla di parlar bene della natura umana”. Le ostentazioni del ciarpame politico in auge non lasciano speranze di redenzione. E pensare che uno dei padri fondatori degli Stati Uniti – Alexander Hamilton – spiegò nel 1787 che il sistema delle elezioni indirette era un po’ complicato ma aveva il vantaggio di escludere “ignoranti e manipolatori” e di affidare il potere ai “capaci di discernimento”, di grandi qualità morali e indubbie capacità. Stimo, visti gli esiti, che riterrebbe indispensabile un correttivo.

Trump, l’egomaniaco compulsivo, ha dimostrato con i fatti che la democrazia non gli va bene. Due gli slogan che rivelano le sue intenzioni. Vi ricordate “It’s the economy, stupid!”, il messaggio con cui Bill Clinton vinse le elezioni nel 1992? Trump lo reinterpreta a modo suo, da folle palazzinaro, e il motto diventa “It’s my business, stupid!”: Gaza si trasforma in un resort senza i fastidiosi palestinesi, l’Ucraina interessa per le terre rare e meno per la sorte degli ucraini e la Groenlandia europea sarà americana con le buone o le cattive. Sottotraccia, c’è il messaggio che annuncia l’avvento dell’autocrazia elettiva, “I am the State, stupid!”: ossia, sono stato eletto dal popolo, comando io e le leggi le faccio io.

E noi europei, derubricati dal bullo J.D. Vance a odiosi parassiti? Il gradasso ci avverte che l’Europa ha perso i valori di libertà e di democrazia perché impedisce alle virili forze dell’ultradestra nazifascista di esprimersi liberamente e di dare un salutare contributo alla rigenerazione del continente europeo! Insomma, le destre illiberali con robuste iniezioni trumputiniane sono il futuro e basta con le menate della sovranità limitata e del bilanciamento dei poteri. Questo ci dice il bullo dell’Ohio!

Un dato è certo: le liberaldemocrazie oggi si sono rifugiate in Europa, schiacciate fra est e ovest e il veleno corrode lo stato di diritto anche dall’interno. Ne sono convinto: i principi della liberaldemocrazia possono sopravvivere solo con un’Europa che, finalmente, si faccia protagonista di una politica comune, di una difesa comune dei diritti, di un comune sentire. So che l’aria che tira non induce all’ottimismo. Ma in qualche modo – se vogliamo contare qualcosa – una federazione di Stati è necessaria per resistere alla brutale aggressione in corso d’opera. Ce lo dice Immanuel Kant, il cui scritto del 1795, ‘Per la pace perpetua’, è di un’attualità sorprendente. Leggetelo, in primis voi trumputinisti, leggetelo voi esagitati che bruciate la bandiera stellata, leggetelo se non lo avete ancora fatto: qualche ravvedimento potrebbe essere possibile da parte di chi ritiene il regime rappresentativo da buttare a favore dei dispotismi a disposizione sugli scaffali della stupidità. A proposito: Kant si era ispirato per il suo progetto di pace perpetua all’immagine di un grande cimitero. Oggi, questa immagine è piuttosto ricorrente: non depone a favore di un futuro radioso.