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Alla rivoluzione col burocrate

Péter Magyar, per ventidue anni al fianco di Orbán, si è messo in testa di scalzarlo. Il suo partito è primo nei sondaggi, ma potrebbe non bastare

In sintesi:
  • Si è smarcato dalla moglie orbaniana dopo uno scandalo politico e ora guarda ai giovani, all’Ue, alla Nato e all’Ucraina
  • Le regole elettorali e il contesto creato dal premier potrebbero però lasciare il potere in mano ai suoi
Péter Magyar
(Keystone)
18 aprile 2025
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Pretendere di andare alla rivoluzione sulla Due Cavalli, con al volante i rivoluzionari veri, forse è troppo di questi tempi. Soprattutto in Europa. Soprattutto in Ungheria, dove – per rimettere in carreggiata il Paese – le piazze si fanno bastare un’auto diplomatica guidata da un burocrate di centrodestra fuoriuscito dal partito di Orbán, sposato (e poi divorziato) con una ministra di Orbán e che ha lavorato come tecnocrate per Orbán sia a Bruxelles che nell’ufficio del primo ministro, cioè Orbán.

L’uomo del cambiamento si chiama Péter Magyar e incarna tutto ciò che rivoluzionario non è, non può essere. Pronipote dell’ex presidente della Repubblica Ferenc Mádl, nipote di Pál Eross, giudice star che presiedeva processi in Tv, e figlio di una magistrata, Magyar è un avvocato che si ispira a Emmanuel Macron, forse il più lampante esempio di politico costruito in vitro dall’establishment. Anche a guardarlo sembra il risultato di una richiesta all’intelligenza artificiale di un clone ungherese del presidente francese.


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Viktor Orbán

Magyar è uscito dai ranghi e dall’orbita orbaniana dopo uno scandalo che ha travolto la moglie Judit Varga, all’epoca ministra della Giustizia, e la presidente della Repubblica Katalina Novák. C’erano le loro firme su una grazia concessa al vicedirettore dell’orfanotrofio di Bicske, il villaggio dove Orbán è cresciuto, condannato per aver coperto atti di pedofilia. Lo sdegno popolare spinse Orbán a far dimettere le due fedelissime per non perdere consensi. Magyar accusò il premier e i suoi di nascondersi “sotto la gonna di due donne”. Sembrava il disperato grido di chi voleva salvare la moglie. E invece no, voleva salvare il Paese. O forse solo sé stesso. Questo lo sapremo nel 2026, quando in Ungheria si terranno le elezioni.

Nell’anno passato dallo scandalo a oggi, Magyar ha fondato un partito (Tisza) che nei sondaggi ha sette punti di vantaggio su quello di Orbán (Fidesz) e gettato fango sulla moglie tirando fuori gli audio (presi di nascosto durante delle chiacchierate in cucina) in cui lei spiega, con nomi e cognomi, come funziona il sistema di corruzione messo in piedi dal governo.


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Judit Varga, ex ministra di Orbán ed ex moglie di Magyar

A dispetto del messaggio social con cui ha aperto la sua nuova vita politica – il celebre “Non abbiate paura” di Giovanni Paolo II – non pare un santo. Eppure dopo oltre vent’anni passati in seno al nemico forse ha trovato l’antidoto per neutralizzarlo. Lontano dagli istinti antieuropeisti e liberticidi spesso tramutati in legge da Orbán (ultimo il divieto di manifestare ai Gay Pride pena multa via riconoscimento facciale), Magyar ha posizioni pro-Ucraina, pro-Nato e pro-Ue, gradite ai giovani e all’elettorato delle grandi città. Per lui, tuttavia, non sarà facile vincere contro un Orbán che – in anni al potere – ha cucito tutto su di sé, dalla Costituzione (riscritta a colpi di maggioranza) ai giudici fino alle circoscrizioni elettorali, ridisegnate ad hoc per far pesare di più il voto rurale: anziano, conservatore e fedele a Fidesz.

Prendere più voti potrebbe quindi non bastare a Magyar per vincere. Vincere potrebbe non bastare per governare. E governare potrebbe non bastare per cambiare le cose. Se non le cambierà, per di più in fretta, Orbán – c’è da scommetterci – troverà il modo di tornare, magari ripresentandosi come cura ai mali che lui stesso ha creato. Non sarebbe il primo: vedi Trump, vedi Farage, nuovamente in auge nel Regno Unito dopo il caos socioeconomico post-Brexit. Un caos generato da lui.


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La folla a un comizio di Magyar