La speranza pasquale è che dall’ennesimo dramma possa fiorire una differente filosofia di accoglienza dei minori soli. Più familiare, più umana
Da sempre, mi sorprende la forza della vita. Quando vedo una margherita spuntare dalla crepa di un muro o farsi strada con tenacia nell’asfalto cittadino, mi chiedo quale strano destino l’abbia portata fin lì. Ma soprattutto quale forza tenace abbia spinto quel seme a sviluppare tutto il suo potenziale, mettere radici e germogliare in un terreno così inospitale. Come un piccolo sole, si stiracchia lungo i petali bianchi, dando una sensazione di purezza che stride col grigio dell’asfalto. È come un raggio di luce nella desolazione. Mi fa pensare alla Pasqua, la celebrazione della rinascita, che nel contesto cristiano celebra la resurrezione di Gesù. Per i credenti, un invito alla trasformazione interiore, alla speranza anche dopo il dolore, quella forza che sa distillare un senso dai rovesci della vita.
Un messaggio universale che va oltre il credo religioso e troviamo in tanti riti primaverili che celebrano la rinascita, simili per simbolismo alla Pasqua. Come la festa induista dei colori in India che onora la vita, lanciando polveri colorate, cantando e danzando. La festa dei ciliegi in fiore in Giappone che ricorda la bellezza effimera e il rinnovarsi della natura. I greci celebravano la dea Persefone (Proserpina per i romani) che saliva dall’oscuro oltretomba e portava la luminosa primavera. Nella tradizione celtica, c’era Ostara, una festa germanica che festeggia il risveglio della terra dopo l’inverno. Da qui, tra l’altro, sembra derivino anche alcuni simboli pasquali come il coniglio e le uova!
Questi rituali, anche se molto diversi tra loro parlano tutti della vita, ci raccontano un bisogno intimo dell’essere umano, quello di ricominciare, di ritrovare la speranza in un mondo che corre, cambia e spesso divide. Davanti all’indifferenza e alla scaltrezza individualista (di cui ultimamente siamo troppo spesso testimoni) la rinascita pasquale, sia personale sia collettiva, assume un significato ancora più urgente: ci sprona a non restare insensibili, a costruire ponti di solidarietà dove c’erano muri, a credere nella possibilità di un futuro diverso, fondato sul rispetto. Anche quando tutto è perduto, può esserci un nuovo inizio, una risalita, un piccolo fiore che spunta là dove ci sono solo aridità e cemento.
Per un seme che germoglia, tanti altri non ce la fanno. Anche dopo tanto provare, resistere, perseverare con tenacia. Penso ad Aziz. Qualche settimana fa è stato trovato morto in un riale a Balerna. Aveva 14 anni ed era alloggiato al Centro federale d’asilo di Pasture. Un incidente dicono le autorità. Di lui, in verità, sappiamo davvero poco, come fosse stato invisibile. La sua vita si riassume in una frase: ‘Era sorridente e giocava volentieri a footbalino’. Tutto qui. Dopo aver lasciato l’Algeria e attraversato l’inferno per arrivare in Ticino, la sua terra promessa di rinascita, doveva iniziare una nuova vita, che invece si è spenta in un riale. Attorno a questa tragedia, le autorità hanno alzato un imbarazzante muro di silenzio. La speranza pasquale è che dall’ennesimo dramma possa fiorire una differente filosofia di accoglienza dei minori soli. Più materna, più familiare, più umana. Ricevono un tetto, cibo, istruzione, regole, orari… ma spesso incontrano un deserto emotivo, fatto di pignoli funzionari e disciplinati agenti, da cui difficilmente potrà germogliare qualcosa.