laR+ IL COMMENTO

Litigiosi in patria e patriottici all’estero

Si tratta di un luogo comune sugli italiani fondamentalmente vero. L’apoteosi di questo slancio esterofilo viene raggiunta quando di mezzo ci sono gli Usa

In sintesi:
  • Perfino la cronaca politica, fatta di baruffe, intrallazzi, veline infamanti, si fa agiografia quando è il momento di sostenere il made in Italy oltreconfine
  • Grande emozione quindi per Giorgia Meloni che liquida la traduttrice inceppata e fa da sé, rivelandosi una dei pochi italiani che non solo “sanno l’inglese” ma effettivamente lo parlano 
  • In cambio viene definita da Trump (che non abbiamo ancora ben capito se darà o toglierà la mancia, e quindi se considerarlo il nuovo grande amico o nemico dell’Italia) una “persona eccezionale”
(Keystone)
24 aprile 2025
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Prima che arrivasse la triste notizia del trapasso di Francesco I (il lettore apprezzerà lo sforzo di trattenere la locuzione “ogni morte di Papa”), le pagine dei giornali italiani celebravano con insolita unanimità il grande successo della visita di Giorgia Meloni negli Stati Uniti.

Che gli italiani siano litigiosi in patria e patriottici all’estero è un vecchio luogo comune, fondamentalmente veritiero come molti luoghi comuni. Il riconoscimento all’estero ha sempre solleticato la vanità della borghesia più provinciale e della classe dirigente più autoreferenziale d’Europa, che mastica l’inglese come i nobili russi dell’Ottocento parlavano il francese: più per la civetteria di sentirsi un po’ straniera in patria che a fini pratici.

Così perfino la cronaca politica, dominata tra i familiari corridoi romani da baruffe, intrallazzi, veline infamanti, si fa pura agiografia quando è il momento di sostenere il made in Italy all’estero. Gli appassionati del genere ricorderanno le palpitanti cronache, perfino sui giornali progressisti, delle special relationship tra Silvio Berlusconi e George W. Bush prima, addirittura “Mister Obamaaaa!” poi, le presunte standing ovation che accoglievano Mario Draghi a Strasburgo e a Bruxelles, addirittura la breve stagione in cui, i cronisti italiani ne erano certi, Matteo Renzi insegnava a Emmanuel Macron e Pedro Sanchez non solo la rottamazione della sinistra che odia ma anche il taglio di sartoria della camicia bianca (sic transit gloria mundi).

L’apoteosi di questo slancio esterofilo viene raggiunta naturalmente quando di mezzo ci sono gli Stati Uniti, secondo una parabola di immaginario (a ciascuno sta valutare di quale tenore) che va dagli anni Quaranta, con lo sbarco a Salerno della Quinta Armata, e gli americani coi denti bianchi che regalano sigarette e cioccolato, ai Novanta, quando essere stati informatori della Cia e dichiararlo per i giornalisti inizia a fare cv.

Grande emozione quindi per Giorgia Meloni che liquida la traduttrice inceppata e fa da sé, rivelandosi una dei pochi italiani che non solo “sanno l’inglese” ma effettivamente lo parlano, e in cambio viene definita da Trump (che non abbiamo ancora ben capito se darà o toglierà la mancia, e quindi se considerarlo il nuovo grande amico o nemico dell’Italia) una “persona eccezionale”. Che Trump coccoli a favore di telecamera la tessera numero uno dell’internazionale trumpiana non è magari una grande sorpresa, ma in tempi di molte asprezze a caval donato non si guarda in bocca.

L’orgoglio patriottico brucia addirittura la tradizionale cautela del senatore a vita Mario Monti, secondo il quale si è trattato di “un grande successo per l’Italia” perché “Giorgia Meloni ha avuto l’abilità di schivare la patata bollente dei dazi (...) e non si è invischiata in una materia sulla quale non ha alcun potere”. Inattaccabile, anche se va detto che in questa logica chiudendosi a Palazzo Chigi e staccando il telefono Giorgia Meloni avrebbe ottenuto addirittura un trionfo.

Insomma, il bilancio del grande successo italiano non è del tutto chiaro, e ai numeri si direbbe che Giorgia Meloni abbia più che altro promesso dieci miliardi di investimenti italiani in Usa, ma sapete come si dice tra Italians: you have to spend money to make money. Poi viene alla mente un’altra massima molto gettonata di questi tempi. Pare fu trasmessa a Trump dal suo mentore Roy Cohn. “Qualunque cosa accada, non ammettere mai la sconfitta. Di’ sempre che hai vinto”.