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Laicità, sobrietà, meschinità e 25 aprile

L’uso spregiudicato dei 5 giorni di lutto per il Papa per neutralizzare i festeggiamenti per la Liberazione dice molto delle beghe da cortile italiane

In sintesi:
  • Molti amministratori locali italiani non vedevano l’ora di applicare restrizioni a una festa considerata di parte, ma che dovrebbe essere di tutti
  • Aspettiamo la morte di uno stilista celebre in aprile per vedere se Meloni suggerirà abiti eleganti per la Liberazione, magari un dress code con camicia nera
Giorgia Meloni davanti alla salma del Papa
(Keystone)
25 aprile 2025
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Cinque giorni di lutto per papa Francesco. L’Italia di Giorgia Meloni, affetta del gigantismo tipico di chi sguazza nelle piccolezze, ha fatto le cose in grande. E poi essere generosi quando non costa niente è facile. Ancora di più se il proprio abbondare, con l’aiuto del calendario, permette di fare un dispetto a qualcuno.

Mai, nella storia d’Italia, si era arrivati a tanto: tre giorni di lutto per Wojtyla, uno per Giovanni XXIII e Paolo VI, nessuno per Ratzinger (che nel frattempo si era dimesso e poi, diciamolo, aveva la faccia antipatica). Un giorno per alcuni presidenti della Repubblica (Ciampi, Leone), ma non per altri (Pertini). Tra i presidenti del Consiglio, l’onore del giorno di lutto è toccato a uno solo: chi, se non lui, Silvio Berlusconi. Un giorno era stato dichiarato per l’incidente ferroviario di Viareggio e per il terremoto dell’Aquila, per il naufragio di Lampedusa del 2013 (300 migranti morti) e per il crollo del Ponte Morandi.

Non c’è un limite ai giorni di lutto: la decisione sta al governo, che può fare come gli pare. E in un Paese che dissemina regole ovunque per il solo gusto di trovare modi fantasiosi per aggirarle, non sarà sembrato vero a Meloni e ai suoi non dover nemmeno fare lo sforzo, giocando semplicemente su uno dei grandi equivoci italiani, la laicità di uno Stato composto da gente che perlopiù mette piede in chiesa per battesimi, matrimoni e funerali e che tuttavia non riesce mai a opporsi al richiamo dei preti, come se il cattolicesimo fosse un marchio sottopelle, inamovibile anche per agnostici, atei ed eretici.


Keystone
‘Il 25 aprile è divisivo solo per chi è fascista’

Il tempismo della morte di Francesco, avvenuta il 21 aprile, con i funerali fissati il 26, ha permesso alla destra al potere di neutralizzare, o perlomeno annacquare, con l’arma del lutto nazionale prolungato, i festeggiamenti per il 25 aprile, per di più negli ottant’anni dalla Liberazione. Nessun divieto esplicito, ma un “invito alla sobrietà” che alcuni amministratori locali hanno preso per un diktat, cancellando o azzoppando celebrazioni, feste, concerti. È successo ad Ancona, a Foligno, a Legnano e in piccoli comuni che hanno avuto così il loro quarto d’ora di (in)evitabile celebrità (come Borzonasca, in Liguria, o Ponte San Nicolò, in Veneto, 14mila abitanti in due). A Trieste si erano addirittura portati avanti, annullando tutto prima ancora che morisse Francesco.

Celebrare (o, peggio, fingere di celebrare) oltremisura un Papa solo per giocare fuori tempo massimo a Peppone e Don Camillo è disonesto, se non immorale. A maggior ragione se consideriamo che i Peppone non ci sono più (il fu comunista Rizzo ormai flirta con Putin, Trump e Le Pen) e Don Camillo è più che altro un travestimento a buon mercato di questi autoproclamati nipotini del Duce che non hanno studiato storia né catechismo e che sotto il Duce non avrebbero resistito cinque minuti; incapaci di indossare con decoro i panni dell’amministratore pubblico, eppure bravissimi a confondere paramenti sacri e paraventi profani, giocando su confini labili come quelli tra Roma e Vaticano, tra Stato e Chiesa.


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Salvini in eterno bilico tra Papa e Papeete

Come non cogliere, quindi, l’invito alla sobrietà di un governo composto da persone morigerate come Salvini (eterno papabile del Papeete) e Santanchè (pia fin dal cognome). Un esecutivo che quest’anno si è limitato a dire agli italiani come festeggiarlo, cioè poco, meglio ancora se niente, il 25 aprile. E che in futuro, in assenza di un Papa da piangere, potrà aspettare la morte sotto data di uno stilista di grido per consigli sul dress code. Insomma, in piazza per la Liberazione, se proprio ci tenete, ok. Ma tutti vestiti bene. Sobri. Eleganti. Magari, chessò, una camicia nera.