Pope Leo: ‘yankee’ sì, ma trumpiano no. Con il tycoon il contrasto non potrebbe essere maggiore, per contenuti e per stile
Pace. La prima parola pronunciata dalla Loggia delle Benedizioni ha rotto l’imbarazzato silenzio calato in Piazza San Pietro all’annuncio del nome Robert Francis Prevost, tra una folla che con bandiere e tifo da stadio si aspettava tutto fuorché il nome di uno sconosciuto statunitense. L’ha ripetuto più volte quel concetto così calpestato oggi nel mondo e così vicino alla tradizione agostiniana, a cui aderisce la congregazione a cui appartiene il neoeletto Pontefice. “La pace è il nostro amore, la nostra amica” aveva scritto il Padre della Chiesa cattolica, filosofo e massimo esponente della patristica.
Agostiniano Robert Francis Prevost lo è anche nella devozione assoluta alla Madonna: il suo discorso si è concluso recitando un’Ave Maria fortemente emotiva. In una manciata di minuti Leone XIV sembra essere riuscito con naturalezza a conquistare l’affetto dei fedeli. Da un gesuita a un agostiniano, ma in una linea che i vaticanisti considerano di chiara continuità: papa Prevost è uomo di papa Francesco, che gli aveva affidato il delicato Dicastero dei vescovi. Un Pontefice che come lo indica l’etimologia stessa si prefigge di costruire dei ponti, in una Chiesa che sulle riforme di Bergoglio si è spaccata.
Moderato come il suo predecessore, pressoché silente sulla clericalizzazione delle donne o sul celibato dei preti, si presenta come un uomo di dialogo tra le diverse correnti. Il primo Pontefice americano è considerato il meno americano dei cardinali: padre italo-francese, madre spagnola, un’esperienza missionaria in Perù, Paese di cui ha assunto la nazionalità.
“Pope Leo”: “yankee” sì, ma trumpiano no. Con il tycoon il contrasto non potrebbe essere maggiore, per contenuti e ovviamente per stile: le interviste realizzate durante il brevissimo cardinalato ci presentano un uomo molto riflessivo, umile, istruito, che accetta il dubbio come registro dell’esistenza. Nel suo account del social X, passato immediatamente al setaccio dai giornalisti, spiccano un paio di dure critiche al presidente americano e soprattutto al suo vice J.D. Vance di fede cattolica. Non è verosimilmente un caso che abbia deciso di esprimersi in italiano e spagnolo, ma non in inglese, come a dire che gli Usa non sono l’ombelico del mondo, che alla concentrazione e prevaricazione politica ed economica non farà seguito un predominio spirituale. È possibile che nella scelta del collegio cardinalizio abbiano giocato diversi fattori geopolitici (il continente americano è il primo in quanto a numero di cattolici, ma le chiese negli Stati Uniti si svuotano) e finanziari (la ricca Chiesa statunitense potrebbe contribuire maggiormente a rimpinguare le casse vaticane).
Il riferimento a Sant’Agostino, che fu laico, dissoluto, peccatore prima della conversione, sembra indicare, nella continuità con il precedente Pontefice, un’adesione a forme poco istituzionali della religiosità, e una pronunciata disponibilità al perdono e all’inclusione. Quanto alla scelta stessa del nome, richiama quello dell’autore dell’enciclica “Rerum novarum” che a fine ’800 definì la dottrina sociale della Chiesa. Ma oltre al citatissimo Leone XIII si potrebbe pensare anche a Leone I (Magno), Papa del V secolo venerato dalla Chiesa anche per esser riuscito a fermare con la diplomazia la calata verso Roma di Attila, il re degli Unni. Ci sarebbe allora da capire chi sono oggi per papa Prevost i nuovi barbari. Ma avrà visibilmente l’imbarazzo della scelta.