Quale riflessione sul futuro della ‘casa della cultura svizzera’ a Venezia. E sulla miopia di certe politiche di risparmio
È un’ottima notizia il fatto che la vendita di Palazzo Trevisan a Venezia sia ormai fuori discussione, ed è giusto riconoscerne il merito al consigliere federale Ignazio Cassis che si è impegnato trovando la soluzione annunciata venerdì, oltre che alla consigliera di Stato Marina Carobbio Guscetti che ha più volte insistito sull’importanza, per la Svizzera e la Svizzera italiana, di mantenere questa “casa della cultura” a Venezia.
Tuttavia vale la pena tornare, a qualche giorno dall’annuncio del “nuovo assetto” di Palazzo Trevisan, sul tema: non solo e non tanto per riflettere su quello che accadrà a Venezia, ma per ragionare su una certa idea di politica culturale. L’accordo trovato prevede, oltre a questioni logistiche che alleggeriscono le incombenze amministrative di Pro Helvetia, l’apertura a nuovi partner e a nuovi temi. Il che è una buona notizia, per chi ha una idea ampia di cultura che include anche il sapere scientifico e questioni come la sostenibilità. Ma le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti in un film, ‘Palombella rossa’, presentato fuori concorso proprio a Venezia nel 1989. E nella sua comunicazione il Dipartimento federale degli affari esteri definisce il futuro Palazzo Trevisan “vetrina dell’eccellenza svizzera” e quelle due parole, “vetrina” ed “eccellenza”, stonano un po’. La cultura e la scienza hanno da sempre uno sguardo critico sulla realtà: un’opera d’arte che denuncia le ingiustizie presenti nella società elvetica o una ricerca accademica sui limiti della politica per la sostenibilità federale troveranno spazio in una “vetrina dell’eccellenza svizzera”? Se poi aggiungiamo che lo stesso Cassis, in conferenza stampa, ha parlato di “clienti” anziché “partner”, i timori si fanno più concreti: Venezia come sede rispettabile e prestigiosa, grazie al buon nome dell’arte e della cultura, per quelle iniziative economiche che per vari motivi si preferisce non avere nella vicina Milano?
Le parole sono importanti, ma non sono tutto e vedremo, quando dall’anno prossimo sarà operativo quanto oggi solo annunciato nelle sue linee generali, cosa effettivamente avverrà a Palazzo Trevisan, se riuscirà a mantenere, ampliandone la portata, la sua vocazione di luogo culturale o se al contrario l’apertura a partner privati snaturerà questa importante istituzione. Non sarebbe il primo caso di realtà culturale che, aprendosi al mercato, si corrompe; per fortuna nel settore abbiamo anche esempi virtuosi, per cui ai comprensibili timori possiamo aggiungere un certo ottimismo.
In attesa di conoscere il risultato di questo esperimento, notiamo che Palazzo Trevisan si è già prestato a essere un laboratorio di politica culturale e con esiti meno rassicuranti. Di fronte all’esigenza di far quadrare i conti, la prima reazione è stata quella di chiudere e vendere, andando a cercare alternative solo di fronte alla decisa mobilitazione di una parte importante delle istituzioni e della società. Un approccio che un po’ brutalmente potremmo riassumere con “tagliamo tutto, vediamo che succede e se le proteste superano il livello di guardia ci ripensiamo”: un metodo di lavoro inquietante, sia perché denuncia una mancanza di visione strategica da parte di chi gestisce la cosa pubblica, sia perché alla fine, come in un perverso talent show, a salvarsi saranno quelli che riusciranno a raccogliere il sostegno del pubblico da casa.