L'iniziativa popolare del Centro e i suoi interrogativi. Ma oltre al proibire, occorre riflettere sulla formazione di docenti e genitori sui pericoli
Quando si parla di divieti la cautela deve essere massima, quando si rischia di cadere nel paternalismo di Stato l’attenzione deve essere totale. Esistono però questioni che riguardano da vicino i giovani, le famiglie e la scuola che impongono una serissima riflessione sui tempi che stiamo vivendo.
L’iniziativa popolare con cui il Centro propone di vietare l’uso degli smartphone a scuola si inserisce, ponendo leciti interrogativi, in un discorso di società che, senza alcun naso trinariciuto e passatista, va portato avanti con serenità ma anche con fermezza. I tempi cambiano, come cambiano anche le nostre modalità di relazionarci, informarci, svagarci. Oggi però l’isolamento prevale anche all’interno della massa: non è raro vedere gruppi di giovani (e non solo...) che sono insieme, ma ognuno con gli occhi sul proprio smartphone, tra social creati ad arte per assuefare e applicazioni di dubbia utilità.
E qui, al netto delle opinioni soggettive, siamo alle domande oggettive: è davvero compito o dovere dello Stato intervenire a gamba tesa in una materia di competenza dei genitori? Bisogna davvero inserire nella legge un divieto di utilizzo degli smartphone a scuola quando, superata in uscita la porta della stessa scuola, il problema si ripresenta tale e quale? È un’ingerenza o no nel bisogno di una famiglia di contattare o farsi contattare dal figlio durante l’orario scolastico, o per portarlo da qualche parte subito dopo? In poche parole: è peloso paternalismo volto a mettere sotto una campana di vetro i giovani o, invece, una mossa che sebbene non sia entusiasmante potrà aiutarli?
In tempi normali, un divieto dovrebbe essere di norma evitato. In quelli che invece ci è dato vivere, la questione di proibire gli smartphone a scuola si pone ed è corretto che venga inserita in un discorso più ampio sia di società, sia di rapporti tra genitori e figli. Posto che lo Stato non dovrebbe dire a una coppia come crescere un giovane laddove si è in assenza di reati o violazioni, ci sono delle situazioni che preoccupano. Anche senza aver visto “Adolescence”, serie tv di Netflix autentico pugno nello stomaco e paradigmatica sia della manosfera sia del crinale in cui stanno camminando, a volte in bilico, sempre più ragazzi, spesso abbandonati a loro stessi non dall’incompetenza di genitori e scuola, ma dalla generale impreparazione nell’affrontare certi temi che, vuoi per differenza generazionale vuoi per difficoltà di adeguare le pratiche, è complicato gestire.
E quindi ben venga il dibattito che ne scaturirà. Ricordando che esistono temi generali, come la libertà e le limitazioni che lo Stato può imporre alle persone. Ma pure che sempre lo Stato ha un compito necessario nel formare, nello spiegare, nel far capire ai propri cittadini quali sono i terreni più scivolosi. Ai docenti sono trasmesse tutte le competenze per prevenire o gestire bene casi problematici dovuti agli smartphone? Si ha una conoscenza vera, precisa di come e quanto sono usate le app di intelligenza artificiale con cui attraverso tre clic si spoglia una persona e si manda in giro una foto falsa ma capace di creare dolore e sofferenza alla vittima? I genitori sono in chiaro su cosa passa davvero negli schermi di un telefono che comprano, a volte con troppa nonchalance, ai figli? Le domande sono tante, le risposte sono necessarie. Nell’attesa, anche se il ritardo è già molto, più vigore nel contrastare certi problemi non sarebbe del tutto fuori luogo.