laR+ IL COMMENTO

Niente smartphone a scuola, quell'impreparazione che porta al divieto

L'iniziativa popolare del Centro e i suoi interrogativi. Ma oltre al proibire, occorre riflettere sulla formazione di docenti e genitori sui pericoli

In sintesi:
  • Quando si parla di divieti la cautela deve essere massima, ma il tema c'è
  • Le domande sono tante, le risposte sono necessarie
E il dibattito è lanciato
(Keystone)
22 maggio 2025
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Quando si parla di divieti la cautela deve essere massima, quando si rischia di cadere nel paternalismo di Stato l’attenzione deve essere totale. Esistono però questioni che riguardano da vicino i giovani, le famiglie e la scuola che impongono una serissima riflessione sui tempi che stiamo vivendo.

L’iniziativa popolare con cui il Centro propone di vietare l’uso degli smartphone a scuola si inserisce, ponendo leciti interrogativi, in un discorso di società che, senza alcun naso trinariciuto e passatista, va portato avanti con serenità ma anche con fermezza. I tempi cambiano, come cambiano anche le nostre modalità di relazionarci, informarci, svagarci. Oggi però l’isolamento prevale anche all’interno della massa: non è raro vedere gruppi di giovani (e non solo...) che sono insieme, ma ognuno con gli occhi sul proprio smartphone, tra social creati ad arte per assuefare e applicazioni di dubbia utilità.

E qui, al netto delle opinioni soggettive, siamo alle domande oggettive: è davvero compito o dovere dello Stato intervenire a gamba tesa in una materia di competenza dei genitori? Bisogna davvero inserire nella legge un divieto di utilizzo degli smartphone a scuola quando, superata in uscita la porta della stessa scuola, il problema si ripresenta tale e quale? È un’ingerenza o no nel bisogno di una famiglia di contattare o farsi contattare dal figlio durante l’orario scolastico, o per portarlo da qualche parte subito dopo? In poche parole: è peloso paternalismo volto a mettere sotto una campana di vetro i giovani o, invece, una mossa che sebbene non sia entusiasmante potrà aiutarli?

In tempi normali, un divieto dovrebbe essere di norma evitato. In quelli che invece ci è dato vivere, la questione di proibire gli smartphone a scuola si pone ed è corretto che venga inserita in un discorso più ampio sia di società, sia di rapporti tra genitori e figli. Posto che lo Stato non dovrebbe dire a una coppia come crescere un giovane laddove si è in assenza di reati o violazioni, ci sono delle situazioni che preoccupano. Anche senza aver visto “Adolescence”, serie tv di Netflix autentico pugno nello stomaco e paradigmatica sia della manosfera sia del crinale in cui stanno camminando, a volte in bilico, sempre più ragazzi, spesso abbandonati a loro stessi non dall’incompetenza di genitori e scuola, ma dalla generale impreparazione nell’affrontare certi temi che, vuoi per differenza generazionale vuoi per difficoltà di adeguare le pratiche, è complicato gestire.

E quindi ben venga il dibattito che ne scaturirà. Ricordando che esistono temi generali, come la libertà e le limitazioni che lo Stato può imporre alle persone. Ma pure che sempre lo Stato ha un compito necessario nel formare, nello spiegare, nel far capire ai propri cittadini quali sono i terreni più scivolosi. Ai docenti sono trasmesse tutte le competenze per prevenire o gestire bene casi problematici dovuti agli smartphone? Si ha una conoscenza vera, precisa di come e quanto sono usate le app di intelligenza artificiale con cui attraverso tre clic si spoglia una persona e si manda in giro una foto falsa ma capace di creare dolore e sofferenza alla vittima? I genitori sono in chiaro su cosa passa davvero negli schermi di un telefono che comprano, a volte con troppa nonchalance, ai figli? Le domande sono tante, le risposte sono necessarie. Nell’attesa, anche se il ritardo è già molto, più vigore nel contrastare certi problemi non sarebbe del tutto fuori luogo.

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