La mattanza di civili a Gaza ha fatto muovere tanti, anche in Israele. Non il consigliere federale responsabile del Dfae
Alla fine, incalzato dal tormento morale, ha deciso di passare il Rubicone: Ehud Olmert evita le perifrasi e denuncia “i crimini di guerra, le uccisioni indiscriminate crudeli e illimitate di civili”. L’ex premier è solo l’ultimo di una serie di politici israeliani a insorgere contro la mattanza di civili: Moshe Yaalon, che fu ministro della Difesa è disgustato da un governo “guidato da un’ideologia messianica e fascista”. Ha bollato Israele di “regime di apartheid”, l’ex capo del Mossad Tamir Pardo. Edith Bruck, 94 anni, regista e scrittrice, preziosa testimone della Shoah, invita i soldati all’insubordinazione contro gli “ordini disumani”. Personalità ebraiche che già hanno fornito una risposta alla domanda che pone The Guardian: “Cosa direte quando vi chiederanno come avete potuto permettere il genocidio a Gaza?”.
Il coro degli indignati si estende a macchia d’olio, da Pedro Sánchez (“niente commercio con uno Stato genocida”) a Emmanuel Macron (“lo Stato palestinese è un’esigenza morale”). Anche qui da noi, dalla parte giusta della Storia, quella che non transige con la violazione dei diritti umani, sono passati in tanti. Una valanga innescata dal disgusto per l’accanimento omicida, una rivoluzione dal basso che una manciata di coraggiosi con pochi mezzi ha tentato di trasformare in una dimostrazione di silenziosa protesta. Successo insperato: nelle strade e piazze di Bellinzona si sono riversate migliaia di persone. Dal basso, la scossa elettrica ha raggiunto i palazzi del potere: pronta la reazione del governo cantonale, che ha fatto da apripista, con un appello al Consiglio federale in cui si chiede una condanna “nei confronti delle violazioni del diritto internazionale umanitario commesse dalle forze armate di Israele”. Ma se Palazzo delle Orsoline raggiunge la schiera dei “giusti”, così non si può dire di Palazzo federale.
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Netanyahu e Olmert ben distanziati
Al volante di una formula uno diplomatica al soccorso dell’Ucraina, Ignazio Cassis è ora salito a bordo di un vecchio trattore, assillato da un fiume di petizioni e lettere, l’ultima firmata da 55 ex diplomatici inorriditi di fronte al “processo genocida” in atto. Imbarazzato e imbarazzante il medico-ministro degli Esteri: nessuna condanna esplicita dello sterminio in atto e di quella “cricca di criminali” (E. Olmert) che governa Israele. Hamas messo al bando in Svizzera: bene, logico. Ma che dire di Netanyahu, criminale latitante ricercato dalla giustizia internazionale? Cassis moltiplica i distinguo, si schermisce: prudenza nel giudicare. 600 giorni di distruzioni ed eccidi, la morte per fame e sete, dunque, non bastano. Rimaniamo nel limbo, impauriti, prigionieri dell’ignominia. Quale sarà allora la risposta di Berna all’interrogativo di The Guardian? C’è poi chi si schiera con convinzione (o silenzi), dalla parte turpe della Storia, quella cui è stata sottratta anche la pietà, una pagina scritta con crudeltà e sopraffazione.
Non sazi, Netanyahu e Smotrich annunciano nuove colonie e minacciano l’annessione della Cisgiordania. L’attacco dei tagliagole di Hamas ha aperto le cateratte dell’orrore e dell’infinita rappresaglia. “I civili innocenti a Gaza? Non ci sono. Sono tutti feccia” per il vicepresidente della Knesset. Ben lontano ormai è il sionismo degli albori, quello della convivenza tra i popoli. “Distruggendo Gaza, Israele distrugge l’ebraismo”, commenta il saggista Jean Hatzfeld. Come dire che oggi Israele è diventato il principale nemico degli ebrei.
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Ignazio Cassis