laR+ IL COMMENTO

Trump piromane-pompiere e la ‘Civil War’ americana

Los Angeles e San Francisco, per il tycoon e il suo ‘cerchio magico’, sono metropoli ‘demoniache’ da sottoporre a una sorta di esorcismo purificatorio

In sintesi:
  • Il presidente pensa molto al suo tornaconto personale anche economico
  • Per una riabilitazione di tipo elettoralistico si dà la caccia all’immigrato
(Keystone)
13 giugno 2025
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Brucia la California. Stavolta non per effetto dei grandi incendi che regolarmente avviluppano e polverizzano le ville (grandi e cafone) dei Vip di Beverly Hills; stavolta brucia per la protesta di cui Donald Trump è al tempo stesso il piromane calcolatore e il pompiere improbabile. Tappa più recente, ma plausibilmente non l’ultima, della fine dell’“America Felix”. Una potenza economica fondata anche su un iperbolico debito pagato dalla comunità internazionale e internamente sempre più lacerata, in cui l’inquilino della Casa Bianca, per puro calcolo politico, ci mette consapevolmente e abbondantemente del suo.

Los Angeles e San Francisco, città che portano nomi evangelici, per il presidente più a destra della recente storia americana e per il suo “cerchio magico” di tecno-oligarchi privi di scrupoli, sono invece metropoli “demoniache” da sottoporre a una sorta di esorcismo purificatorio: troppo dem, troppo stataliste, troppo progressiste, troppo inclusive, troppo lontane dalla narrazione neo-conservatrice e reazionaria.

Tanto da chiedere al tycoon di non intervenire con la forza (esercito e Guardia nazionale) per domare proteste e rivolte contro la caccia agli immigrati irregolari (“almeno 9mila”) da destinare a Guantanamo, l’isola-prigione di massima sicurezza nelle acque cubane, che già “ospitò” terroristi jihadisti veri o presunti, e ora scelta per rinchiudervi il “nuovo pericolo”, gli immigrati irregolari: irregolari ma utilissimi all’economia nera, ora trasformati in “carne da macello” su cui si deve concentrare l’odio di un elettorato (come altrove) facilmente manipolabile.

Un presidente che pensa molto al suo tornaconto personale anche economico (fra bitcoin, giochetti in Borsa, regalie dei principi del petrolio medio-orientali, il tycoon si sarebbe già arricchito, pare, di 3 miliardi di dollari da quando è tornato al potere), sa anche come criminalizzare e quindi utilizzare politicamente la sorte di quei disperati. Ne ha pure bisogno: la questione dei dazi è assai meno profittevole e facile di quanto gli avevano assicurato i suoi improvvisati consiglieri commerciali; le guerre (Ucraina e Gaza) che in campagna elettorale aveva promesso, da gran spaccone qual è, di risolvere in sole 48 ore sono molto più tenaci del suo pasticciato e presuntuoso “pacifismo”; al Cremlino c’è un Putin che se la ride dei suoi diktat, e in Israele un Netanyahu responsabile di un “massacro di innocenti” ma per nulla malleabile; l’economia americana subisce contraccolpi importanti, dalla discesa del dollaro agli impoveriti titoli di Stato.

Così, la più facile delle ‘soluzioni’ per una riabilitazione di tipo elettoralistico è appunto quella della caccia all’immigrato. Law and Order. Problema: negli Stati liberal il pugno di ferro mobilita e raccoglie anche un grumo di generale protesta anti-trumpiana, che nasce dal basso, surrogato del partito dem ancora stordito dalla storica sconfitta alle presidenziali. Ma nella mano pesante del presidente vi è di più. Vi è la prefigurazione di una deriva illiberale, anti-democratica, persino “golpista”. Scientemente pianificata. Già ampiamente manifestatasi nelle iniziative contro le università covo di ribelli da “normalizzare”, contro la libera stampa a cui tappare la bocca, contro una parte della magistratura indipendente. E ora contro chi reagisce anche con violenza alla ‘Civil War’ che lo stesso Donald Trump alimenta artatamente. Appunto, piromane e pompiere. “No king”, nessun monarca, è lo slogan dei manifestanti. È del resto l’uomo che ha graziato i criminali dell’assalto a Capitol Hill. Il cinismo al potere.