Trump parla di Putin come mediatore tra Iran e Israele mentre Erdogan ospita i colloqui tra russi e ucraini. Sarà che tra criminali si capiscono
In alcuni gangster movie di serie B, di quelli girati con pochi soldi e poche idee, per porre fine a una guerra tra due famiglie mafiose impantanate in una faida irrisolvibile – e quindi al film – si fa ricorso a un vecchio espediente narrativo, il deus ex machina. Incapaci di risolvere la disputa, le due gang rivali convocano il boss di una gloriosa banda criminale ormai avanti con l’età, ma che in gioventù era stato il più spietato, e quindi il più rispettato di tutti. Per la serie: chi può capire un criminale meglio di qualcuno più criminale di me?
In una diplomazia internazionale di serie B come quella attuale, con troppi soldi e pochissime idee, questo schema da malavitosi aderisce alla perfezione. Siamo d’altronde in un mondo in cui Donald Trump, presidente di quella che dovrebbe essere la più grande democrazia del pianeta, viene pizzicato in un fuori onda (del 2018, ma tornato in auge in questi giorni) mentre elogia il leader della dittatura più feroce del pianeta, la Corea del Nord, dicendo: “Quando lui parla, la gente si alza in piedi e ascolta. Voglio che il mio popolo faccia lo stesso con me”. Nella sua irresistibile voglia di emulare il tiranno di uno Stato autoritario ha anche organizzato una simil-parata in stile nordcoreano sfruttando la concomitanza tra il suo compleanno e l’anniversario dei 250 anni dell’esercito americano (con risultati grotteschi).
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Guantoni per la pace
Pretendere che Trump citi o ammiri politici come Mandela o Gandhi è decisamente troppo; a preoccupare, piuttosto, è la sua fascinazione – per non dire sudditanza – nei confronti dei peggiori: Putin e Netanyahu su tutti. Il presidente russo è stato anche tirato in ballo da Trump come possibile mediatore tra Israele e Iran. Il garante per la pace in Medio Oriente dovrebbe essere quindi uno che ha invaso uno Stato sovrano e boicotta da tre anni qualsiasi tipo di cessate il fuoco riguardante una guerra iniziata da lui. Certo, tra canaglie ci si capisce, come insegnano i film di gangster, ma qua non c’è da rimettere ordine nella sceneggiatura zoppicante di un film che vedranno quattro gatti, ma negli equilibri globali di un mondo abitato da 8 miliardi di persone.
Con l’Onu ormai ridotta a una stanca, inascoltata e inefficace assemblea di condominio, l’Ue costantemente impegnata a trovare una voce comune che non c’è e Cassis nel ruolo dello struzzo con la testa ben piantata sotto la sabbia, resta ben poco. E così ci si affida ai buoni uffici di pessimi officianti. Succedeva ai tempi della crisi irachena, dove per mediare tra Occidente e Saddam Hussein saltò fuori il nome di un certo Muammar Gheddafi, succede oggi con il premier turco Erdoğan, un autocrate che reprime qualsiasi afflato democratico, un “dittatore” (Mario Draghi dixit), un ultranazionalista che fa strage di curdi a cui la comunità internazionale sta affidando i colloqui tra Russia e Ucraina.
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‘Pace per l’Iran e pace per il mondo’
Il tutto mentre il presidente degli Stati Uniti vola al G7 in Canada, un Paese che – fosse per lui – nemmeno esisterebbe più. O meglio, sarebbe solo un altro pezzo di Stati Uniti, come Panama e la Groenlandia, per cui sono già pronti i piani per l’invasione. In quest’ultimo caso gli Usa invaderebbero un altro Paese Nato, la Danimarca, attivando l’ormai noto Articolo 5, che costringe gli Alleati a partire in difesa di chi viene attaccato. In pratica gli Stati Uniti dovrebbero dichiararsi guerra da soli.
Chissà, magari per mediare tra gli scriteriati invasori di Washington e i fieri difensori della pace di Washington si potrà chiedere a Kim Jong-un, uno che – a quanto si dice in giro – sa come farsi ascoltare.