laR+ IL COMMENTO

Il traffico merci e il rischio di perdere il treno

Politica e società civile faticano a capire la strategia delle Ferrovie e ne temono gli effetti occupazionali e ambientali (per i camion in più)

In sintesi:
  • Le Ffs però non intendono fare marcia indietro: la strategia è decisa
  • Aperto un confronto con il fronte sindacale e il governo ticinese
La rotta tracciata dalle Ferrovie è controversa
(Ti-Press)
4 luglio 2025
|

Le Ferrovie sono state, da sempre, un importante datore di lavoro per i ticinesi, nel Sopra come nel Sottoceneri. Tra le ex Regie federali, le Ffs rappresentavano l’agognato ‘posto fisso’. Poi quel prefisso – ex – ha ribaltato la prospettiva e anche fra i binari le certezze hanno iniziato a traballare e le lotte sindacali per il lavoro hanno scandito gli ultimi decenni: le Officine di Bellinzona, la perdita di velocità (e di impieghi) della stazione di Chiasso. Eppure i cittadini e le cittadine del Canton Ticino (e della Svizzera) hanno continuato a credere, ieri come oggi, nelle loro Ferrovie federali, tanto da votarsi e votare (nel 1994) a favore del trasferimento delle merci dalla gomma alla rotaia; e da stringere un patto, scritto nella Costituzione federale, per il bene dell’ambiente e della salute di tutti: raggiungere il tetto di 650mila camion l’anno attraverso le Alpi. Un traguardo oggi ancora lontano (nel 2024 i Tir in transito sono stati 960mila). Anzi, la rotta a vantaggio delle ferrovie si è invertita.

Il timore ora è che la strada continui a guadagnare terreno, mettendo a dura prova un cantone già costretto a convivere – soprattutto nella sua appendice meridionale – con un traffico paralizzante. C’è chi si è già messo a fare i calcoli: per cominciare con la chiusura dell’autostrada viaggiante (nel 2026 e in anticipo sui piani) ci si ritroverà con 80mila mezzi pesanti in più da traghettare sulla rotta nord-sud; poi resta da vedere quali saranno gli effetti (non solo occupazionali) di Ffs Cargo di abbandonare due terminali come Cadenazzo e Lugano-Vedeggio. Non a caso sono in tanti a preoccuparsi: il fronte sindacale, diversi Municipi (in particolare nel Mendrisiotto e Basso Ceresio), la politica a vari livelli istituzionali, la società civile. E nessuno intende restare a guardare. Tant’è che è già nato il Comitato contro lo smantellamento di Ffs Cargo.

Del resto, è difficile inghiottire il rospo. In particolare quando ci sono esperti che, nero su bianco, ti dicono che “il trasporto combinato non accompagnato tra la Svizzera tedesca e il Ticino è aumentato in modo sostanziale” e che “tutti i terminali in Ticino registrano un’ulteriore crescita, soprattutto quelli di Lugano e Cadenazzo” (‘Monitoraggio dell’Asse del San Gottardo - Fase B’, Ufficio federale dello sviluppo territoriale, 2024). Il punto è che, alla fine, ad avere la meglio è la realtà dei numeri, quelli allineati a bilancio, che, per mandato, chiamano (le Ffs e Ffs Cargo) a rientrare nelle cifre nere. D’altro canto, il percorso di Cargo – società fondata nel 2001, stesso anno di Ralpin, la società che ha gestito l’autostrada viaggiante – non è stato semplice. Si legge su ‘Lineamenti della politica svizzera del trasporto merci: tra Stato, mercato e Unione europea’ (Ufficio statistica, 2024): “... nonostante le iniziative e le misure intraprese dopo il 2000 per contenere i costi e aggiornare le modalità di servizio, la situazione finanziaria e le prospettive del settore merci rimangono incerte”. Non solo, il rapporto fra strada e rotaia resta squilibrato, soprattutto sul piano dei prezzi. E allora dove sta il bandolo della matassa? E come mai gli sforzi intrapresi non hanno sortito tutti i risultati sperati? Vista da Bruno Storni, deputato del Ps al Consiglio nazionale, il trasporto merci su ferrovia è penalizzato ormai da un quarto di secolo, e il nodo sta nella decisione presa alla fine degli anni Novanta di liberalizzare il settore. Quel libero mercato divenuto un mantra anche per Ffs Cargo.