laR+ IL COMMENTO

Minori transgender e mentalità bloccate

I giovani con disforia di genere sono da proteggere da una cultura troppo discriminatoria, non da interventi medici che possono lenire la loro sofferenza

In sintesi:
  • Per comprendere davvero le implicazioni in gioco va considerato un altro aspetto che aggrava il carico mentale di questi adolescenti, quello dell'alto rischio di incorrere in disagi psichici
  • La depressione colpisce fino al 50% di loro; i comportamenti autolesivi fino al 40%; due su cinque tentano il suicidio almeno una volta nella vita
  • Un ruolo preponderante in tale scenario lo ricopre lo stress cronico causato da pregiudizi, stigmatizzazione e rifiuto sociale
(Keystone)
19 agosto 2025
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No, l’obiettivo non è assecondare una moda o “i dettami della mentalità woke di questi tempi”, ma alleviare un’angoscia potenzialmente letale. Nel fragore del dibattito pubblico sui trattamenti medici per minorenni transgender c’è un aspetto che rimane perlopiù relegato nell’ombra, ed è proprio quello della profonda sofferenza da cui sono spesso pervasi questi giovani che si ritrovano in un corpo che non li rappresenta: c’è chi lo definisce un involucro estraneo, chi una prigione, chi perfino qualcosa di ripugnante.

Le recenti richieste di introdurre una moratoria sull’uso dei bloccanti della pubertà – farmaci che arrestano temporaneamente lo sviluppo di caratteri sessuali secondari indesiderati – avanzate in Ticino con un’interrogazione al governo da alcuni granconsiglieri del Centro e a Zurigo da una consigliera di Stato dell’Udc appellatasi al Consiglio federale, vengono giustificate con la volontà di proteggere i minori da trattamenti medici rispetto ai quali si insinua un sospetto di pericolosità e utilizzo avventato. Eppure, come spiegano due medici specialisti alle pagine 4-5, premesso che in Ticino non si praticano operazioni chirurgiche di riassegnazione di genere su minori e che con i bambini si adotta un approccio attendista basato sull’osservazione, negli adolescenti l’eventuale somministrazione di bloccanti della pubertà – che sono impiegati da 40 anni per il trattamento della pubertà precoce e i cui effetti sono completamente reversibili – o successivamente di ormoni mascolinizzanti e femminilizzanti, avviene solo dopo una diagnosi pedopsichiatrica di disforia di genere, vale a dire quando viene attestato un disagio clinico significativo legato all’incongruenza tra l’identità di genere e il sesso assegnato alla nascita. Si tratta peraltro di trattamenti che vengono effettuati unicamente se il supporto psicologico non è sufficiente ad alleviare la grave sofferenza e su decisione di un team interdisciplinare che procede a valutazioni accurate, nonché sempre e solo col consenso informato del giovane e l’autorizzazione di entrambi i genitori.

Per comprendere davvero le implicazioni in gioco va poi considerato un altro aspetto che aggrava il carico mentale degli adolescenti transgender, quello dell’alto rischio di incorrere in disagi psichici. I numeri sono eloquenti: la depressione colpisce fino al 50% di questi giovani; l’ansia fino al 30%; i comportamenti autolesivi fino al 40%; l’abuso di sostanze è 2-3 volte più frequente rispetto alla media; e 2 su 5 tentano il suicidio almeno una volta nella vita. Un ruolo preponderante in tale scenario lo ricopre il cosiddetto “minority stress”, lo stress cronico e specifico che tocca chi appartiene a gruppi minoritari – sessuali, etnici, religiosi – a causa di pregiudizi, stigmatizzazione e rifiuto sociale. Atteggiamenti, questi, che risultano particolarmente forti contro le persone trans la cui piena legittimità viene riconosciuta a fatica, e che mostrano come la sfida sia prima di tutto culturale. Negare a questi giovani anche solo parte del supporto necessario – che va da un ambiente accogliente e non giudicante alla presa a carico da parte di professionisti adeguatamente preparati fino, in alcuni ma fondamentali casi, all’uso di bloccanti e ormoni – significa negare loro il diritto al benessere psicofisico e a un’esistenza degna di essere vissuta. E questo non vuol dire proteggerli. Vuol dire continuare a condannarli a far parte di un quadro statistico tristemente cupo i cui presupposti sono non i dettami di una fantomatica mentalità woke, ma quelli di una mentalità discriminatoria e intollerante ancora ben radicata (anche) alle nostre latitudini.