Ribaltare le colpe, misconoscere la realtà: il governo Netanyahu brandisce con disinvoltura l’accusa di antisemitismo
Tattica moralmente rivoltante ma certamente non nuova. Già 25 anni fa lo studioso Norman Finkelstein aveva denunciato in ‘L’industria dell’Olocausto’ lo sfruttamento a fini economici, politici, ideologici della memoria della Shoah. Un ‘j’accuse’ sottoscritto anche da Raul Hilberg, unanimemente considerato il maggior studioso dello sterminio nazista.
La Storia in Israele non ha cessato di ripetersi. Di fronte all’indignazione mondiale, Netanyahu e i suoi follower estraggono dal cilindro l’accusa di antisemitismo contro chiunque osi denunciare genocidio, pulizia etnica, o apartheid. L’epiteto ‘nazista’ non è riservato, come da logica, a chi mette in atto lo sterminio, ma a quanti lo denunciano. Impudicizia senza limiti che ribalta le colpe, che nega la realtà: volti emaciati scavati dalla fame, bimbi ridotti a scheletri, sarebbero immagini ‘fake’ così come false sarebbero le cifre su morti e feriti, le notizie sul cinico blocco alimentare.
Kit argomentativo rodato: Macron riconoscendo lo Stato di Palestina “alimenterebbe la fiamma antisemita” (i reati antisemiti in realtà sono in calo); antisemiti sarebbero Amnesty, Onu, Pam, Unicef, Caritas, Msf e altre centinaia di Ong che chiedono la fine del supplizio. Poco importa che nel coro di indignati per l’eccidio troviamo ebrei israeliani come l’ex premier Olmert, lo scrittore David Grossman o l’ex presidente della Knesset Burg: anche loro favorirebbero l’antisemitismo.
Si sottace il fatto che sia la stessa Idf ad ammettere che l’83% dei morti ammazzati sono civili e che Hamas non ha sequestrato o rubato il cibo. Oppure che lo stesso generale Aharon Haliva rivendichi apertamente il genocidio, chiedendo l’uccisione di 50 palestinesi per ogni vittima ebrea.
La strategia di Tel Aviv, già ben rodata, ha un nome: negazionismo. La Storia, sempre lei, ripropone un intramontabile della propaganda: così come i carnefici della pellicola di Jonathan Glazer ignorano i rantoli e le urla soffocate del vicino campo di sterminio di Auschwitz, nell’odierna ‘Zona d’interesse’ non si vuole vedere quanto sta capitando al di là del muro, in un lager chiamato Gaza.
Il negazionismo è considerato reato in molti Paesi, tra cui il nostro: l’articolo 261 bis del Codice penale punisce chi discredita, minimizza o giustifica genocidi o crimini contro l’umanità. Ci si può chiedere se oltre a prendere di mira gli studenti che manifestano per la Palestina, la Procura elvetica si stia muovendo contro i negazionisti più o meno nostrani, come quel membro del comitato onorario dell’Associazione Svizzera-Israele (sezione Ticino) che, dopo aver attaccato papa, Onu, giornalisti, sinistra ecc., scrive che “Netanyahu (è) probabilmente il migliore fra i governanti del mondo intero (...) è il più lucido, abile e coraggioso primo ministro di Israele dopo Ben Gurion. Fortunato Israele ad averlo oggi al timone”.
Netanyahu è un ‘wanted’ dalla giustizia internazionale per crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Cosa sarebbe successo se qualcuno avesse scritto cose dello stesso tenore su un leader di Hamas? Confutare la realtà è da sempre un’arma di guerra (vi dice qualcosa Katyn in Polonia o il più recente Bucha in Ucraina?). Non a caso Israele ha vietato l’accesso di Gaza a tutti i giornalisti, trucidandone 240 che già si trovavano nella Striscia. La macchina del negazionismo e dell’occultamento funziona da tempo a pieno regime.