Paradossale o meno, un eventuale 'doppio sì’ il 28 settembre sarebbe un voto di sfiducia che metterebbe definitivamente in ginocchio un governo debole
Su ogni manuale di Pronto soccorso, alla domanda “cosa fare di fronte a una forte emorragia?”, la risposta è la medesima: contenerla. Addirittura ChatGpt, dopo aver elencato in maniera dettagliata i vari passaggi da seguire, dice (in grassetto): “Ricordati: non perdere tempo in attività secondarie, la priorità è fermare il sanguinamento”.
Per analogia, all’obiezione posta dal Consiglio di Stato, dai sindaci delle principali città ticinesi e dall’ampio fronte partitico dei contrari alle due iniziative cantonali riguardanti i premi di cassa malati in votazione il prossimo 28 settembre, attori che ritengono le due proposte soltanto dei “cerotti” che non agiscono sulla “radice del problema”, la prima risposta da dare sarebbe: esatto, ed è proprio ciò che la scienza suggerisce di fare. Prima contieni l’emorragia, poi – coi tempi biblici della politica federale – vai a cercare di incidere sulle cause, cioè per superare l’attuale e osceno modello di finanziamento della salute pubblica, quello che il già direttore del Dss Pietro Martinelli ha definito qualche tempo fa “lo sgravio fiscale nascosto più grande della Svizzera”. Altrimenti, ora (e a patto) che si arrivi alla “radice”, il paziente muore dissanguato.
Leghisti e socialisti sostengono che le rispettive e antagonistiche iniziative (più sgravi fiscali da un lato, maggiori sussidi dall’altro) andrebbero a favore del famigerato ceto medio. Qui il governo, se volesse garantire la correttezza del processo democratico, avrebbe dovuto inserire una piccola nota nel libretto informativo delle votazioni, a mo’ di glossario: per ‘ceto medio’ i socialisti si riferiscono alle famiglie con entrate comprese tra 80’000 e 150’000 franchi annui; la Lega invece intende tutte le economie domestiche con redditi netti compresi tra 250’000 e mezzo milione.
Sull’ipotetico vantaggio a favore delle persone “che fanno fatica”, ottenibile grazie alla deduzione integrale dei premi (più altri oneri assicurativi che non c’entrano), era già stato categorico il Consiglio federale a inizio anno, quando ha liquidato una mozione identica del consigliere nazionale Lorenzo Quadri: “Andrebbe ad appannaggio dei più ricchi”. Concetto ribadito ieri a Bellinzona dal direttore del Dfe Christian Vitta.
Il principale argomento dei contrari all’iniziativa che mira a limitare il peso dei premi al massimo al 10% del reddito disponibile, invece, è legato al suo costo: le prime stime parlano di 300 milioni a carico dell’ente pubblico. Qui ci sarebbero due questioni che andrebbero considerate: una tecnica, l’altra “storica”. I calcoli diffusi dal governo non contemplano le ricadute positive, in termini di gettito, che l’accoglimento di questo plafone comporterebbe per via del rafforzamento del potere d’acquisto del “vero” ceto medio, quello con una capacità di consumo ben lontana dall’essere satura. Oltre al fatto che il saldo tra l’estensione della Ripam e un eventuale innalzamento del moltiplicatore d’imposta sarebbe sempre nettamente positivo per le famiglie ‘tipo’ (due adulti, due figli) con redditi fino ad almeno 150’000/200’000 franchi, e anche in diverse altre tipologie di situazioni.
C’è poi, appunto, una data da tenere presente: il 9 giugno 2024. Quella domenica è stata respinta a livello federale (ma accolta in Ticino) l’iniziativa ‘Per premi meno onerosi’ che proponeva esattamente la stessa cosa: un tetto massimo del 10%. Allora il governo, e in particolare il direttore del Dss Raffaele De Rosa, era in prima linea a difendere la bontà della proposta. Certo, in quel caso una buona parte della fattura sarebbe finita a carico della Confederazione, ovvero di contribuenti facoltosi e imprese di Oltralpe che non si annoverano tra gli elettori (e nemmeno tra i finanziatori, ai quali poi bisogna rendere conto) dei partiti nostrani di almeno 4/5 dei membri dell’esecutivo cantonale. Coincidenza o paradosso: quella stessa domenica in Ticino veniva approvata la riduzione del 20% dell’aliquota massima sul reddito delle persone fisiche molto benestanti.
Per il governo, insomma, le votazioni del prossimo 28 settembre – ha detto Norman Gobbi in conferenza stampa – risultano parecchio insidiose: in ballo ci sarebbero nuovi oneri per circa mezzo miliardo di franchi (tetto del 10%, più deduzione integrale, più quella federale sul valore locativo), se i cittadini cedessero alla «tentazione» di approvarle. Il Consiglio di Stato infatti suggerisce di dire ‘no’ a tutt’e tre.
Certo che “l’insidiosa tentazione” di un doppio ‘sì’ a livello cantonale potrebbe pure avverarsi: sarebbe, in effetti, un voto di sfiducia che metterebbe definitivamente in ginocchio un governo debole, incapace di dare una direzione al Paese, e ancor meno di fornire delle risposte concrete ai bisogni insoddisfatti di una gran parte della popolazione. Un governo che, molto probabilmente, di fronte a uno scenario del genere non sarebbe nemmeno in grado di radunare i consensi né per un aumento delle imposte, né per un taglio massiccio dei servizi, né tanto meno per chiamare alla cassa i Comuni.
Al massimo c’è una cosa che sì potrebbe fare, il governo, qualora gli restasse un minimo di dignità (dopo lo schifo di Bedretto): autorevocarsi.