La mia nuova casa è davvero mia?
Entrando in casa, non puoi fare a meno di sentirti circondato da un ambiente familiare, confortevole e rilassante. Ti senti accolto e amato, libero. Per me non è così. Sembra che ogni oggetto che ho nell’appartamento, dalle scarpe al divano, mi sussurrino qualcosa. Un brusio di voci, un comitato di accoglienza che mi ricorda quanto sia fragile, ma soprattutto preziosa, la situazione. La mia nuova casa è davvero mia? Ma soprattutto, come è possibile che sia stato proprio io a ottenerla? Dopo tutto questo tempo rinchiuso in un istituto, sono uscito? Facciamo un passo indietro. Nel fiore dei miei anni, quando i miei amici più intimi studiavano all’università, io mi trovavo in un istituto psichiatrico e facevo sempre più ricoveri in ospedale del settore. Un giorno mi dissero che se nei successivi mesi non avessi fatto un solo ricovero, allora avrei avuto un appartamento. Insomma, sembrava che mi venisse chiesto di attraversare l’Oceano Atlantico con una vasca da bagno. Ma il mio umore peggiorava di continuo e i compiti obbligatori, come bucato e pulizia della stanza, li facevo con riluttanza. Proprio allora una mia amica di Asti mi chiese di andarla a trovare. Ma Asti era in Piemonte e ci volevano cinque ore di treno, con tre cambi in stazioni che nemmeno conoscevo. Io non avevo mai viaggiato da solo. Mai. Era pericoloso? Ma io volevo andare. Era il suo compleanno. Ci tenevo a incontrarla. “Non sei pronto”, mi dicevano. Non avevano fiducia. Ma qualcosa dentro di me si ribellava. Per mesi, anzi per anni ero stato succube delle decisioni degli altri. Qualcosa doveva cambiare! Così, con pochi fidati, studiai un piano di viaggio. Ogni ora avrei contattato l’istituto per informarli del viaggio. Avevo le pastiglie per l’ansia e del cibo. Avevo ricambi per tre giorni. Avevo i fogli con i dati medici in caso di emergenza. Era tutto pronto! Presi il treno e arrivai a Milano. Mi aspettavo il caos e la torba di gente, con gli scippatori. La stazione era vuota. Con l’ansia ai livelli minimi, sorpreso, aspettai il treno dopo e partii. Ad Asti mi attendeva lei con la sua amica. Eravamo solo noi tre. Era fatta. Era davvero stato così semplice? Attraversare mezza Pianura Padana sembrava un azzardo. Invece si rivelò un piacere. Passammo tre fantastici giorni insieme, tra battute, i suoi gatti, il compleanno. Quasi quasi sarei rimasto a casa sua. Ma alla fine venne il momento di rientrare e di nuovo presi il treno. Durante il ritorno guardavo con sospetto gli altri passeggeri: con quattro borse, ero una preda facile. Ma ognuno aveva gli affari suoi a cui pensare. Giunsi così a Locarno ed ero sano e salvo. Il mio viaggio era andato alla grande. Così il mio umore tornò a migliorare, non per il bel viaggio, ma perché finalmente la fiducia che avevo riposto in me aveva dato frutti. Guardavo avanti con speranza e non più con dolore. Non per niente non feci più ricoveri e riuscii a meritare la mia casa. Questo con la mia più completa incredulità. Da solo ce l’avevo fatta.