Terapie che hanno rivoluzionato il mondo farmaceutico rese ancora più efficaci grazie alla moderna biologia molecolare
Un mio stretto parente ha ricevuto una diagnosi di melanoma, cancro della pelle molto aggressivo, un paio di anni fa. Una quindicina di anni prima sarebbe stata una condanna a morte, con speranza di vita a 5 anni inferiore al 10%. Oggi, invece, supera il 90%. Il mio parente è completamente guarito e non ha nemmeno smesso di giocare a calcio durante la terapia. La differenza? Un nuovo farmaco, un anticorpo in grado di sconfiggere il melanoma con efficacia, riducendo al minimo gli effetti collaterali.
Non è un caso isolato. Nella primavera del 2022, Tiziana (nome di fantasia), 17 anni e amica di famiglia, scopre di avere un linfoma. Grazie a un anticorpo disponibile dai primi anni 2000, riesce a guarire da una situazione che in passato avrebbe offerto meno del 30% di possibilità di sopravvivenza.
Ma c’è di più. Durante la terapia, Tiziana contrae il Covid. Per la maggior parte delle persone si tratta poco più di un raffreddore, ma per chi è sottoposto a trattamenti oncologici – i cosiddetti immunosoppressi – può diventare letale. I medici intervengono subito con un altro anticorpo, e in 24 ore il Covid scompare senza conseguenze. Questo anticorpo contro il Covid, tra l’altro, è stato sviluppato in Ticino.
Dr. Luca Varani
Gli anticorpi trovano applicazione in un numero sempre maggiore di malattie: dal cancro alle infezioni virali, dalle patologie croniche alle infiammazioni. Oggi, 6 dei 10 farmaci più venduti al mondo si basano su anticorpi. Il mercato globale vale circa 245 miliardi di franchi all’anno, e si stima che raggiungerà gli 860 miliardi entro il 2035.
Facciamo qualche passo indietro per capire cosa siano questi ‘anticorpi’. Pensiamo alla varicella; se la facciamo da bambini, non ci capiterà più per tutta la vita. Questo accade perché il nostro sistema immunitario produce delle molecole, gli anticorpi, che sanno riconoscere e distruggere il patogeno, in questo caso il virus della varicella. Ci vuole qualche giorno perché si producano gli anticorpi adatti, ma poi questi rimangono con noi tutta la vita.
È proprio questo ritardo iniziale che ha ispirato l’ironia anglosassone: ‘Un raffreddore trascurato dura 7 giorni, ma se ti curi bene dura una settimana’. Tornando alla varicella, quando incontriamo il virus una seconda volta gli anticorpi che abbiamo prodotto con la prima infezione sono in grado di attaccarlo e sconfiggerlo prima che ci ammaliamo.
I vaccini funzionano nello stesso modo: si inietta nel corpo una molecola, chiamata antigene, che spinge il nostro sistema immunitario a produrre anticorpi. Il trucco è farli produrre senza farci ammalare, per cui non si usa un virus intero ma un suo frammento, oppure una versione inattivata, o attenuata, che non si riproduce. Questo processo viene chiamato ‘immunizzazione attiva’.
In alternativa alla produzione di anticorpi da parte del nostro sistema immunitario, possiamo somministrarli direttamente dall’esterno (immunizzazione passiva).
Per esempio, una persona guarita dal Covid ha nel sangue anticorpi capaci di riconoscere e neutralizzare il virus. Prelevando parte di quel sangue (o meglio, il siero contenente gli anticorpi) e somministrandolo a un’altra persona, possiamo trasferire quella protezione. Può sembrare insolito, ma è esattamente ciò che venne fatto nel 1890 per curare la difterite: si scoprì che il siero di cavalli immunizzati con la tossina difterica era in grado di proteggere le persone dalla difterite. Servirono altri 30-40 anni per isolare gli anticorpi e individuarli come molecole responsabili della protezione, ma l’intuizione fu rivoluzionaria e valse il Nobel a Emil von Behring (1901 per la ‘sieroterapia’).
Questa tecnica, seppur raramente, è ancora utilizzata. Per esempio, l’antidoto contro i veleni dei serpenti più letali al mondo è costituito da siero di cavalli immunizzati con quei veleni. In questi casi si parla di anticorpi policlonali, perché il siero contiene una miscela di molti anticorpi diversi.
Oggi, però, si preferiscono i cosiddetti anticorpi monoclonali: una singola tipologia di anticorpo, prodotta in modo controllato e su scala industriale, invece di un siero complesso che contiene anche anticorpi non specifici. Un anticorpo monoclonale è più preciso, più facile da caratterizzare e tende a causare meno effetti collaterali.
Altri articoli di questa serie raccontano come vengano scoperti e prodotti, anche a Bellinzona, gli anticorpi monoclonali.
Non tutti possono o vogliono essere vaccinati. Il sistema immunitario di anziani e immunosoppressi, come molti malati di cancro, spesso non riesce a montare una risposta soddisfacente a un vaccino. Alcuni allergici possono avere reazioni avverse ai vaccini, mentre tali reazioni sono molto più rare per gli anticorpi.
Un altro vantaggio cruciale degli anticorpi è la rapidità d’azione: mentre un vaccino impiega settimane per conferire protezione, un anticorpo è attivo immediatamente dopo la somministrazione. Lo si può quindi usare per curare un’infezione in corso, come nel caso di Tiziana, per proteggere il personale sanitario, senza dover attendere i tempi di risposta a una vaccinazione.
Tutto positivo? Quasi. Lo svantaggio principale degli anticorpi è il costo, oggi molto più cari dei vaccini. Vendere anticorpi per trattare tumori nei Paesi ricchi è un mercato redditizio, e infatti tutte le grandi case farmaceutiche ci investono.
Molto meno conveniente, invece, è sviluppare anticorpi per malattie rare o tropicali. È qui che la ricerca pubblica, come quella svolta dall’IRB a Bellinzona, diventa ancora più importante.
La biologia strutturale studia la forma assunta dagli atomi delle molecole, in passato solo con tecniche sperimentali e oggi anche con simulazioni al computer. Tali studi hanno rivelato che gli anticorpi sono proteine di circa 15 nanometri: per coprire un metro, ne servirebbero 66 milioni messi in fila. Hanno una forma descritta come Y, anche se è molto più simile a una T (misteri della scienza). Un ‘gambo’ (Fc) che richiama e attiva le cellule del sistema immunitario, e due bracci identici (Fv) che riconoscono il patogeno bersaglio.
La estrema selettività li rende efficaci e sicuri. Si legano esclusivamente al loro bersaglio molecolare, senza toccare altre molecole che potrebbero avere effetti collaterali. Possiamo paragonarli a una chiave: come una chiave apre solo una specifica serratura, così un anticorpo riconosce solo il suo bersaglio, grazie a interazioni chimiche tra i suoi atomi e quelli del patogeno.
I primi anticorpi monoclonali furono isolati da topi grazie a metodi pionieristici sviluppati negli anni 70 da César Milstein che, vinto il Nobel, usò il premio in denaro per creare borse di studio per studenti. La produzione di anticorpi murini rappresentò una vera rivoluzione per la farmacologia, ma questi anticorpi potevano causare reazioni avverse, simili ad allergie, quando somministrati all’uomo.
Oggi siamo in grado di isolare anticorpi completamente umani, eliminando questo problema (come approfondito in altri articoli). Tuttavia, fino a circa vent’anni fa, fu l’ingegneria molecolare a ridurre significativamente questi effetti collaterali.
Le strutture molecolari di anticorpi umani e murini hanno rivelato importanti differenze. Grazie alla biologia molecolare, le caratteristiche degli anticorpi umani sono state trasferite su quelli di topo, in un processo chiamato umanizzazione, aumentando notevolmente la sicurezza e l’efficacia dei trattamenti con anticorpi monoclonali.
Alcuni virus, come Dengue e West Nile, sfruttano gli anticorpi per entrare nelle cellule umane, causando gravi effetti collaterali talvolta letali. Gli anticorpi naturali prodotti da infezioni o vaccini non possono prevenire questo problema. Anticorpi ingegnerizzati, invece, sono in grado di proteggere efficacemente da questi virus evitando del tutto tali effetti avversi. Per farlo, si modificano solo 4-6 “mattoncini” (residui amminoacidici) su circa 1’400 che compongono un anticorpo.
Un altro esempio di ingegneria riguarda il virus Zika, ultima epidemia nel 2015, che è particolarmente pericoloso per il feto. Somministrare anticorpi alla madre durante la gravidanza può proteggerla, ma gli anticorpi naturali durano solo pochi giorni nel corpo. Modificando appena 2 residui nel “gambo” (Fc) dell’anticorpo, si può prolungare la sua emivita di diversi mesi, garantendo una protezione molto più duratura.
Le cellule del sistema immunitario da sole spesso non riescono a distruggere il cancro, perché il tumore stesso ne blocca l’azione. Alcuni anticorpi naturali possono aiutare, impedendo al tumore di disattivare il sistema immunitario. L’ingegneria molecolare ha però permesso di fare un passo avanti: gli anticorpi bispecifici, hanno un braccio che si lega al tumore e un altro alle cellule immunitarie, avvicinandole per favorire la distruzione delle cellule tumorali. Questi anticorpi, chiamati BiTE, sono disponibili per leucemie e linfomi.
I bispecifici offrono soluzioni innovative anche contro i virus, un ambito di ricerca dell’IRB. I virus mutano, rendendo inefficace il sistema immunitario. I batteri hanno meccanismi simili che portano alla resistenza antibiotica.
Anticorpi efficaci contro il Covid sono diventati inattivi contro nuove varianti, a volte in poche settimane. I bispecifici colpiscono simultaneamente due siti diversi del virus; per poter sfuggire il virus dovrebbe mutare contemporaneamente in due siti, che è statisticamente poco probabile.
I bispecifici possono agire in modo ancora più sofisticato. Per esempio, in un recente studio all’IRB è stato progettato un bispecifico antivirale che, paragonando un virus a una automobile, prima solleva il cofano con un braccio e poi va a legarsi al motore con il secondo, bloccando l’automobile/virus.
In sintesi, gli anticorpi rappresentano una delle armi più potenti e sofisticate della medicina moderna, capaci di combattere tumori, virus e altre malattie con precisione e sicurezza.
Grazie all’ingegneria molecolare, le loro applicazioni si stanno ampliando rapidamente, superando limiti un tempo insormontabili e offrendo nuove speranze. Il futuro della ricerca sugli anticorpi, come quella portata avanti in centri di eccellenza come l’IRB di Bellinzona, promette innovazioni ancora più sorprendenti, migliorando sempre di più la nostra capacità di proteggere e curare la salute umana.
In collaborazione con l’Istituto di Ricerca in Biomedicina (IRB) di Bellinzona, affiliato all’USI, nel suo 25º anniversario