Domani scattano gli Europei e noi ne parliamo con un leggendario allenatore che il torneo continentale, quando guidava l’Italia, l’ha addirittura vinto
Nella sua città adottiva, Trieste, Bogdan Tanjević attende con trepidazione l’inizio dei prossimi Europei, in programma da domani in Lettonia, a Cipro, in Finlandia e in Polonia. Una carriera pazzesca alle spalle – ha allenato infatti club come Bosna Sarajevo (1 Coppacampioni), Milano (1 scudetto), Villeurbanne (1 titolo) e Fenerbahce (2 allori), oltre a 4 diverse Nazionali – e una passione tuttora incontenibile... «Godo ancora a vedere il basket – racconta a laRegione –, da parte mia continua a esserci un interesse totale. Spero solo finisca il caldo. Non per i giocatori, ma per me. Non mi piace l’estate, e nemmeno l’inverno, a me stanno bene solo la primavera e settembre-ottobre».
Ripercorrere la vita avventurosa e la carriera da vincente di ‘Boscia’ è come fare un viaggio all’interno di questo Europeo, che vedrà 24 squadre distribuite in quattro gironi da sei squadre, con le prime quattro che passeranno il turno per poi dare il via alle eliminazioni dirette a partire dagli ottavi di finale. Il coach ha il cuore diviso addirittura in cinque pezzi, a partire dal Montenegro, il suo Paese natale. «La squadra non è abbastanza forte, mancano 3-4 o forse anche 5 uomini di peso, ma comunque gioca bene. A Bosko Radović ho dato fiducia in passato – è stato infatti mio vice proprio sulla panchina montenegrina – e sono stato ben ripagato. La sua gestione della Nazionale è migliore della precedente. La forza sta proprio nella sua buona conduzione, ma obiettivamente il Montenegro non può sognare medaglie».
Quando Bogdan aveva quattro anni, la famiglia Tanjević si trasferì a Sarajevo e Boscia si è sempre definito, almeno culturalmente, di nazionalità ‘sarajevese’. «Anche la Bosnia è allenata da un mio ex assistente e mio ex giocatore, cioè Svetislav Pešić. Io credo molto nei coach che hanno giocato ad alti livelli e così l’ho sponsorizzato per la panchina della Bosnia. Non sono però da medaglia nemmeno i bosniaci, anche perché hanno un girone pesante, con Grecia, Spagna e Italia».
A 18 anni, Tanjević si trasferì a Belgrado, allora capitale jugoslava, per studiare e giocare fino a 24 anni, quando smise per votarsi al ruolo di allenatore. A Belgrado, fra l’altro, prese moglie nel 1969. «La Serbia di Jokić è fortissima. Nikola è il miglior giocatore al mondo, un talento straordinario che sa nascondersi dentro la squadra, intervenendo al momento giusto». Ma tra lui e Luka Dončić, chi preferirebbe allenare? «Uno è un play-guardia, l’altro una sorta di pivot-play. Sono due talenti strepitosi, avrei voluto averli tutti e due».
Nel 1982 Tanjević approdò in Italia per allenare a Caserta, e oggi vive a Trieste. Gli azzurri come sono messi? «L’Italia mi sembra in un’ottima condizione. Noi allenatori vogliamo sempre che la squadra sia perfetta ora, e che arrivi in condizioni altrettanto perfette al momento giusto. È una formazione efficace e che difende bene. Mi piace la struttura, l’atletismo dei lunghi che in passato non c’erano. Ho una grande fiducia in Nicolò Melli, che per me è uno dei migliori leader degli ultimi 15 anni. Mi sembra ci sia un’atmosfera positiva, si può sperare in una medaglia, certo. Anzi, dirò che la Serbia dovrà sperare di non incontrare l’Italia, sia perché si accoppia male con gli azzurri, sia perché nei serbi rimane il ricordo delle sconfitte degli ultimi anni, che possono far male. Quando io allenavo l’Italia, ero riuscito a togliere le ‘scimmie dalle spalle’ ai miei giocatori, che in precedenza perdevano sempre contro la Jugoslavia. E così abbiamo vinto contro i plavi 8 match su 9 tra amichevoli e tornei. La convinzione è dunque cresciuta man mano. Alla prima gara con la Jugoslavia dissi ai ragazzi: “Giocate contro di loro come se fosse una finale”, e infatti abbiamo vinto».
Tanjević di Europei ne ha disputati parecchi: il primo fu nel 1977 come assistente di Aza Nikolić sulla panca della Jugoslavia, che in finale batté l’Unione Sovietica. Era davvero un altro mondo... «Il mio ricordo più bello è senza dubbio quello del 1999, quando vinsi il torneo alla guida dell’Italia. Quarti, semifinale e finale furono partite fantastiche, è storia».
E poi ha allenato per dieci anni in Turchia... «È l’altra formazione per cui farò il tifo a questi Europei». Poi registriamo un ultimo episodio alla guida del Montenegro, mentre dal 2017 è andato, per modo di dire, definitivamente in pensione. A 78 anni Bogdan Tanjević rimane un cervellone della palla a spicchi.
Cosa possiamo dire sulle altre squadre favorite? «La Francia ha un quintetto talmente forte che l’allenatore non dovrà fare molto per migliorarlo. Anche la Germania ovviamente è molto competitiva». E la Spagna? «Certo che sì! Tre anni fa nessuno si aspettava che vincessero, e invece hanno vinto». Che dire della Lettonia? «È ben impostata, gioca in casa ed è arrivata quasi in semifinale all’ultimo Mondiale, grazie soprattutto a un eccellente lavoro del suo coach Luca Banchi».
Oltre ai tanti ex jugoslavi, a questo Europeo ci saranno dunque tre coach italiani: oltre a Pozzecco (Italia), avremo come detto Banchi e – alla guida della Spagna – Sergio Scariolo... «Già, ma la scuola di allenatori migliore in assoluto è quella serba: è il motivo per cui un Paese con solo sei milioni di abitanti raggiunge grandissimi risultati. E il merito è dei maestri sconosciuti, eh, non dei grandi nomi. Sono strepitosi i tecnici che formano i giocatori nelle giovanili. Non più in strada, dove non ci sono neanche più i campetti di una volta, ma nei vivai dei club».
Lei, coach, ha vissuto tanti anni di basket, ma quello di oggi è davvero diventato un altro sport rispetto al passato? «In realtà le competizioni per le Nazionali sono cambiate meno rispetto a quelle dei club. Con due stranieri in squadra, un tempo i club del Belpaese vincevano tutto perché erano gli italiani a essere decisivi: gli stranieri si annullavano infatti a vicenda. In questa maniera sono emersi campioni come Meneghin, Marzorati, Riva, il mio Nando Gentile e gli altri di Caserta come Esposito e Dell’Agnello. Con il regime attuale, invece, gli italiani si sono un po’ addormentati a livello di vivai».