Alla ripresa del campionato – con Bepppe Sannino per la prima volta in panchina – il patron dell'Acb Pablo Bentancur ci svela una sua grande passione
«Era giunta l’ora di un cambio radicale, e così abbiamo scelto Sannino. Mi è spiaciuto per Benavente e il suo staff, con cui lavoravamo bene ormai da quasi un paio d’anni. Mi piaceva la loro filosofia, il loro tipo di calcio propositivo. Ma a chiedermi un intervento energico sono stati i giocatori stessi. Qualcosa evidentemente si era rotto nel loro rapporto con la guida tecnica. Visto come stanno le cose, e soprattutto vista la classifica, ora sarà inevitabile cambiare modo di giocare, proprio perché diversi sono gli obiettivi: adesso semplicemente dobbiamo salvarci».
È un Pablo Bentancur ben consapevole della delicatezza del momento quello con cui ci intratteniamo nell’immediata vigilia della gara che i granata – per la prima volta diretti in panchina da Beppe Sannino, esperto allenatore con trascorsi anche nella Serie A italiana – sosterranno venerdì alle 19.30 sul campo dello Stade Nyonnais, avversario diretto nella lotta per il mantenimento del posto nella serie cadetta. I romandi infatti hanno 23 punti in classifica proprio come l’Acb, cioè soltanto 2 lunghezze in più dello Sciaffusa fanalino di coda.
A farti capire che era scoccata l’ora del cambio di guida tecnica ti avrà aiutato anche questo tuo magnifico orologio, butto là… «In effetti sono molto legato a questo Universal, che un tempo stava nientemeno che al polso di Roque Maspoli, leggenda del calcio mondiale», spiega orgoglioso il patron granata.
Parla del più grande portiere della storia Celeste, discendente di emigranti di Caslano, bandiera del Peñarol di Montevideo e della Nazionale uruguayana, con cui divenne campione del mondo nel 1950 – nel famoso Maracanazo di Rio de Janeiro – e che in seguito guidò da selezionatore per due mandati. «Diresse anche il Peñarol, facendogli conquistare diversi campionati, oltre a Copa Libertadores e Coppa Intercontinentale».
Pablo, dovete sapere, è un appassionato collezionista di oggetti appartenuti a celebri campioni… «Guarda l’incisione: il Peñarol l’aveva regalato a Maspoli negli anni Quaranta, per ringraziarlo di quanto stava facendo per i colori aurinegros». Come l’hai avuto? «Me lo procurai quasi vent’anni fa a un’asta pubblica a Montevideo. Nella stessa occasione, pensa, riuscii ad assicurarmi anche la medaglia celebrativa della conquista del Mundial del 1950, che la Federazione aveva fatto coniare e regalato ai giocatori. E io mi sono accaparrato la più preziosa, quella destinata a Schiaffino, il più forte di tutti, che in quell’occasione segnò uno dei due gol che sconfissero il Brasile».
L’altro, per la cronaca, lo segnò un altro ticinese, cioè Alcides Ghiggia, figlio di gente partita da Sonvico. E origini nella Svizzera italiana aveva pure il ct di quella squadra – Juan Lopez – i cui nonni materni di cognome facevano Fontana e Gilardoni. Altri cimeli della tua collezione? «Fra i tanti, un orologio celebrativo che fu di Schiaffino, un altro appartenuto invece a Gianni Rivera, un altro firmato da Silvio Berlusconi per i giocatori del Monza, tutti coi nomi incisi. Oltre a svariate medaglie, fra cui anche una del mitico Obdulio Varela, capitano dell'Uruguay campione del mondo in Brasile».
Magari tutti questi oggetti fungeranno da talismano per il Bellinzona, chiamato nei prossimi due mesi a conquistare la salvezza…«Credo poco alla semplice fortuna: più importante è il lavoro serio, duro, cioè quello che ho sempre fatto in questi miei trent’anni di carriera nel mondo del calcio. Ho cominciato dal livello più basso, e appunto lavorando sodo posso dire di averne fatta di strada. Anche qui a Bellinzona, checché se ne dica, qualcosa di buono ho combinato: quattro anni fa ho rilevato una squadra in profonda crisi e l’ho riportata nel calcio professionistico, dove ancora si trova malgrado abbia il budget più basso di tutta la Challenge League».
Ogni tanto, però, hai manifestato l’intenzione di vendere…«Sì, e lo ribadisco, perché sono un po’ stanco. Anche in questi giorni sto trattando con un paio di potenziali acquirenti. Il calcio è un veicolo straordinario per dare visibilità a una città. Lo ha dimostrato anche la nuova proprietà del Lugano – americana – grazie alla quale ora la città ha visto crescere la sua visibilità nel mondo proprio grazie al pallone. Ma lo scambio è reciproco: l'amministrazione cittadina di Lugano infatti mette a disposizione del club le strutture adeguate, cosa che invece a Bellinzona non avviene, basti pensare alla questione del campo d'allenamento non omologato. A garantire certe vetrine internazionali, ad ogni modo, è solo il nostro sport, non certo l’hockey, l’atletica, il basket o il pattinaggio».