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‘È la manifestazione sportiva femminile più grande d’Europa’

Fra mille preconcetti e altrettante peripezie, l’appuntamento clou dell’estate si ‘avvicina’ a grandi passi e Marion Daube assapora già profumo di record

(Associazione svizzera di football (Asf))
7 giugno 2025
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Il calcio è storicamente il baluardo dell’identità maschile. Di quella virilità in contrapposizione alla fragilità, o presunta tale, femminile. Fra poco meno di trenta giorni si cercherà tuttavia di scardinare questo preconcetto. Sì, perché dal 2 luglio alcune delle migliori giocatrici d’Europa si esibiranno nei principali stadi rossocrociati. Un plauso è da esprimere a Marion Daube, project manager e responsabile del settore muliebre in seno all’Associazione svizzera di football (Asf). Nata in Germania, la 48enne ha ereditato il timone da Tatjana Haenni. «Una pioniera del calcio femminile, tant’è che la sua vita ruota quasi esclusivamente intorno a parastinchi e tacchetti. Ha lasciato un solco indelebile, da quando si è trasferita» a New York così da rilanciare la massima lega nordamericana. Le due si conoscono da parecchio «e, dunque, mi sono confrontata – a lungo – con lei prima di candidarmi per questa posizione». Daube ha incamerato esperienza in qualità di amministratrice delegata sulle rive della Limmat, a Zurigo, ruolo che ha ricoperto per tredici anni conquistando quindici trofei. Era però motivata «a passare ‘dall’altra’ parte impegnandomi per il movimento femminile in Svizzera. Un ambito in cui devo ancora crescere».

E sì che fino a qualche decennio fa il calcio era prerogativa maschile, come testimonia la storia della zurighese. «Da bambina mi era stata concessa la possibilità di effettuare qualche allenamento in un piccolo club, ma in seguito ho dovuto smettere. Non sapevo che all’epoca esistessero già delle squadre femminili, anzi. Ero una tifosa dell’Eintracht Francoforte, la mia città natale». Durante il percorso accademico si è tuttavia di nuovo interessata «a questo mondo grazie a una compagna di studi che militava nella selezione danese (e anche nelle Aquile, ndr). Abbiamo iniziato a coordinare differenti progetti, come ad esempio dei campi dedicati alle ragazze». E, trascorsi quasi vent’anni, ha permesso alla Svizzera di ospitare la rassegna continentale. Il processo di candidatura è stato lungo, come la giornata in cui è stata comunicata la sede. «Presentato il nostro dossier alla Commissione preposta della Uefa, tutto si è trascinato per quelle che sembravano delle ore. Ero molto nervosa perché avevo paura che in quei cinque minuti avremmo rovinato ciò per cui avevamo lavorato così duramente l’anno precedente. Dopodiché si è trattato solo di aspettare, aspettare... e, quando il presidente Ceferin ha estratto il foglio dalla busta, sono rimasta pietrificata». La gioia è affiorata più tardi e, pure, la spossatezza. D’altronde, come ama ripetere, la vita non è sempre un letto di rose. «Nonostante le numerose avversità e il fatto che in pochi credessero nella Svizzera come Paese ospitante, nessuno ha mai perso coraggio e determinazione. Eravamo convinti di avere una possibilità e, inoltre, abbiamo percepito un forte sostegno da parte di Città, Cantoni e regioni». Una motivazione in più, senza considerare il significato che avrebbe «avuto disputare una grande manifestazione a due passi da casa per il calcio femminile. E, soprattutto, per le giocatrici».

Finanziamenti molto importanti, ma...

A favore della kermesse la Confederazione ha stanziato (a fatica) un contributo di 15 milioni di franchi, triplicando de facto l’importo iniziale. «Il sostegno politico è stato grande, mentre il nostro cammino all’interno del sistema rossocrociato è stato molto lungo. A causa del rinvio dell’ultimo Europeo, avevamo un anno di tempo in meno rispetto alle precedenti candidature: abbiamo dovuto mettere in moto tutto più velocemente, ma, alla fine, siamo riusciti a ottenere un finanziamento molto importante. I fondi sono destinati alla promozione del calcio femminile nel Paese» nonché a sussidiare trasporti pubblici e campagne nazionali. Dal canto suo l’Asf ha ricevuto 5 milioni del totale per l’attuazione dei programmi della cosiddetta Legacy. Una cifra ben lontana da quanto concesso nel 2008, in occasione della rassegna continentale maschile, eppure Daube non intende fare paragoni «perché il punto di partenza è differente. Città e Cantoni hanno inoltre messo a disposizione cospicue somme», che tuttora cercano di rimpinguare. Il torneo fungerà da catalizzatore per la crescita del calcio femminile alle nostre latitudini, assicura la 48enne. «È l’inizio di un business case, capace di offrire alla Svizzera grandi opportunità dal punto di vista sportivo, economico nonché turistico. Tutto il mondo riferirà dell’evento e del nostro Paese, dunque ne beneficeranno differenti settori quali ad esempio la ristorazione, l’hotellerie o il commercio. E ciò comporta la creazione di nuovi posti di lavoro. Le aziende che ricopriranno il ruolo di sponsor o partner avranno in aggiunta la possibilità di posizionare il proprio marchio in Europa». Non da ultimo, come suggerito, anche il turismo riceverà un bell’impulso. «L’attenzione internazionale attirerà numerosi ospiti, migliorando l’immagine della Svizzera. A lungo termine l’interesse nei confronti del nostro territorio» potrebbe crescere ulteriormente.

Nel corso delle ultime stagioni è stato un rincorrersi di record (mondiali o nazionali) di affluenza. Che sia il Camp Nou di Barcellona o l’Emirates di Londra. Un primato è nuovamente destinato a cadere – e di gran lunga – pure in Svizzera. Il match inaugurale fra la Nazionale rossocrociata e la Norvegia si disputerà infatti nella cornice sold out del Sankt Jakob di Basilea. «Non vedo l’ora che arrivi questo momento, di assaporare l’atmosfera quando le ragazze scenderanno in campo per la prima volta. Una sensazione unica, stimolante». Casse ‘chiuse’ anche per le altre due partite della fase a gironi. L’ultima edizione aveva sfiorato le 575mila presenze, c’è profumo di record? «Abbiamo già venduto più di 550’000 biglietti e alcuni match sono da tutto esaurito. Dunque, sì, sono fiduciosa. È la manifestazione sportiva femminile più grande d’Europa». Un appuntamento immancabile, eppure sono ancora molte le persone che reputano le giocatrici poco talentuose o meritevoli di considerazione. «I tifosi che nutrono interesse nei confronti del calcio femminile sono in costante aumento, come ben dimostrano i numeri della Women’s Super League o della Nazionale. È tuttavia necessario sviluppare una cultura e identità dei fan. Un compito a cui sicuramente contribuirà il torneo, incrementando la visibilità della nostra disciplina: le giovani hanno bisogno di punti di riferimento, migliori strutture nonché professionalizzazione, mentre le donne necessitano di reali prospettive di carriera. Questo rende il prodotto ancor più interessante per sponsor e tifosi». Un circolo virtuoso, insomma. I riflettori dei campionati esteri continuano però a stuzzicare le giocatrici. «Nel caso dell’Inghilterra, ad esempio, lega e club più blasonati hanno investito nel marketing specifico. Abbiamo bisogno di tutti, anche dell’economia, affinché il calcio femminile possa svilupparsi».

‘Bisogna seguire i propri sogni’

Frauen-Bundesliga, Liga F o Première Ligue. I massimi campionati dei Paesi limitrofi sono più competitivi su tutta la gamma, ma secondo Daube la Svizzera ha imboccato la strada che maggiormente rispecchia le sue potenzialità. «Non dobbiamo sempre paragonarci a queste grandi nazioni. Come in campo maschile, la Super League femminile rimarrà infatti prettamente formativa. È comunque necessario migliorare le premesse: di recente abbiamo commissionato delle analisi su questo argomento e i risultati mostrano» che il calcio muliebre può diventare, e diventerà, un business pure alle nostre latitudini. Il mondo del pallone in Svizzera non basta tuttavia come sostentamento. «Siamo un Paese caratterizzato dall’elevato costo della vita. I prezzi sono generalmente superiori rispetto alla media europea. Ad esempio la busta paga che in Germania permette a una giocatrice di campare da professionista, qui non è sufficiente. È inoltre una questione di strutture, buoni allenatori e opportunità di sviluppo individuale». Capacità e risorse ancora tutte da esprimere fra i confini nazionali. La zurighese invita dunque le giovani a seguire i propri sogni, «anche se (spesso) richiedono coraggio, resistenza e perseveranza. È importante alimentare la passione, senza mai perdere la concentrazione. La salute gioca naturalmente un ruolo essenziale. Bisogna cercare di conoscersi, ascoltarsi e fidarsi di quell’io interiore. Abbiamo validi modelli di riferimento che grazie alle loro qualità e alla nostra formazione sono riusciti a trovare spazio nei massimi campionati, sia in patria che all’estero. Spero che amplieremo ulteriormente questa cerchia, migliorando le condizioni pure in Svizzera».

Un movimento destinato a durare nel tempo

Non a caso l’Asf si è prefissata d’incrementare il numero di tesserate nonché di donne in ruoli di vertice. «È risaputo che queste manifestazioni conferiscono enorme impulso, catapultando addirittura il Paese in avanti di anni. Ci siamo dunque proposti consapevolmente quale sede in modo da beneficiare di questa spinta. L’eredità del torneo è parte integrante del nostro dossier, tant’è che rappresentava un capitolo importante già in fase di candidatura. Grazie a maggiori risorse (sia umane che finanziarie) e alla collaborazione dell’intera famiglia calcistica rossocrociata, abbiamo la possibilità di rendere la nostra strategia molto più ampia e sostenibile». Dalla formazione sino all’élite. «Non ci piace utilizzare il termine progetti, perché hanno un inizio e una fine, piuttosto di un movimento che duri nel tempo. Da qui nasce il concetto di “Here to stay” e della Legacy». I numeri sono incoraggianti: rispetto a cinque anni or sono, le tesserate sono quasi raddoppiate – ora sono più di 44mila – e il 40% dei club ha una squadra femminile. Un’eredità che non emergerà «veramente finché il torneo non sarà terminato. È un’ottima piattaforma e, ripeto, offre grande visibilità. Bisogna dunque sfruttare questa ondata così da tenere il passo e, soprattutto, attuare miglioramenti a lungo termine». Propositi già perseguiti nel corso delle ultime stagioni, «ma con risorse notevolmente inferiori o addirittura nulle. Questa opportunità dev’essere colta. È unica». La 48enne si augura che il calcio «sia per tutti, ma proprio tutti, e che le ragazze abbiano la possibilità di praticare un’attività sportiva ovunque si trovino. Spero inoltre che le chance di carriera per le donne, e in particolar modo in posizioni di leadership, siano maggiori».