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La grande farsa delle multiproprietà

Si teme la totale deregulation, e a suggerire come aggirare le norme sul conflitto di interessi sono gli stessi organismi che le hanno emanate

In sintesi:
  • Malgrado le regole vigenti volte a impedire il conflitto di interessi, il fenomeno delle multiproprietà nel mondo del calcio è sempre più diffuso, e coinvolge sia club di primissimo livello che società meno prestigiose
  • I sistemi per aggirare queste norme sono a ogni modo a disposizione di tutti, e addirittura a suggerire di adottarli sono le stesse autorità che le regole le emanano e sarebbero chiamate a farle rispettare
22 luglio 2025
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Nel calcio siamo in piena era dei giochi di prestigio. Finanziari e societari. C’è chi li fa per trasformare un pesante passivo di bilancio in un solido attivo, cedendo quote dei propri incassi futuri (Barcellona) oppure vendendo beni immobili a sé stessi (Chelsea), e chi invece utilizza società dormienti per aggirare le regole Uefa sul divieto di multiproprietà.

Queste ultime rappresentano l’altro grande trend del calcio contemporaneo, con la holding britannica City Football Group, fondata dal proprietario del Manchester City, Mansour bin Zayed Al Nahyan, al vertice della piramide con i suoi 12 club calcistici posseduti.

Le Mco (Multi-club ownership) sono disciplinate dall’articolo 5 del nuovo regolamento Uefa sulle Coppe europee introdotto con il cambio di format dei tornei continentali, il quale prevede che “nessuna persona fisica o giuridica può avere un controllo o un’influenza decisiva su più di una squadra partecipante ai tornei Uefa”.

Regola chiarissima, e infatti quest’anno si sono verificate tre infrazioni: Crystal Palace, retrocesso dall’Europa alla Conference League per la presenza nella prima competizione dell’Olympique Lione, anch’esso di proprietà dell’azionista John Textor; Drogheda United, escluso dalla Conference per la presenza del Silkeborg, con entrambi i club nelle mani della holding Trivela Group; e Dunajská Streda, stesso discorso fatto sopra, in questo caso per l’affiliazione con il Győri Eto dell’uomo d’affari ungherese Oszkár Világi, molto vicino al Premier Viktor Orbán.

Forti coi deboli, deboli coi forti

Si tratta di club che contano pochissimo, con la meccanica sanzionatoria che ricorda quella del controverso (per le modalità di applicazione, non per il concetto in sé) sistema del fair play finanziario: inflessibile con le piccole, accomodante con le grandi. Basti pensare, rimanendo nell’ambito delle Mco, al fatto che il Manchester City e Girona abbiano tranquillamente disputato la Champions League 2024-25.

E lo stesso sarebbe accaduto se nella stagione appena conclusa il Nottingham Forest fosse riuscito ad acchiappare il quinto posto in Premier League (sfuggitogli per soli 2 punti): nonostante la presenza in Champions dei campioni di Grecia dell’Olympiacos, facenti parte dello stesso gruppo legato all’armatore greco Evangelos Marinakis, entrambe le squadre si sarebbero trovate regolarmente ai blocchi di partenza.

Identico discorso per il Losanna, che ha ritrovato l’Europa dopo un’assenza di 14 anni; appartenente al gruppo petrolchimico Ineos fin dal 2017, un eventuale incrocio in Conference con il Manchester United (rimasto invece fuori da qualsiasi competizione) e Nizza (qualificato in Champions) sarebbe risultato indolore. Tutti dentro, a dispetto della comprovata multiproprietà.

La soluzione? Il blind trust

L’escamotage per aggirare il menzionato articolo 5 del regolamento Uefa si chiama blind trust, ed è stato raccontato dalla testata norvegese di investigazione sportiva Josimar, arrivando a una conclusione singolare: il sistema sarebbe stato suggerito dalla Uefa stessa, o meglio, dal presidente dell’Organo di controllo finanziario dei club, Sunil Gulati, ex presidente della Federcalcio statunitense ed ex consigliere Fifa, laureato in economia alla Columbia University e autentica eminenza in ambito finanziario. Si tratta della stessa Uefa che punisce il Paris Saint-Germain, 860 milioni di franchi di perdite in cinque anni, con una multa di 10 milioni per non aver rispettato il fair play finanziario. Carezze e comprensione per le élite non dovrebbero quindi sorprendere.

Il blind trust è uno strumento giuridico, spesso utilizzato per evitare conflitti di interesse, nel quale il proprietario di determinati beni li trasferisce a un gestore, detto trustee, che li amministra in maniera indipendente, libero da qualsiasi interferenza da parte del primo, e senza nemmeno doverlo informare delle decisioni prese. Alla base c’è il concetto di fiducia tra le parti, trust appunto, fatta salva la facoltà del proprietario di cessare unilateralmente il rapporto in qualsiasi momento. Se in ambienti extra-calcistici il blind trust è uno strumento anche virtuoso (ad esempio il primo ministro canadese Mark Carney lo ha utilizzato, una volta eletto, per evitare potenziali conflitti di interesse con le proprie società nell’espletamento del suo mandato), nel mondo del pallone diventa un mero escamotage per aggirare le regole.

Il gioco è semplice: si crea un contenitore vuoto, una società dormiente, in cui trasferire le quote di un club che riconducono alla multiproprietà, e si presenta alla Uefa – entro la scadenza del primo marzo – la nuova documentazione dalla quale non emerge più alcun punto di contatto tra due squadre, ottenendo così il via libera. Se poi la stagione di queste squadre prende una piega diversa, ossia non arriva la qualificazione alla medesima competizione continentale, si rimette tutto a posto tornando alla configurazione originale. I casi Nottingham Forest e Manchester United divergono in un punto: la segretezza del trustee. Per i Garibaldis, tutto è avvenuto alla luce del sole e compare regolarmente sul Registro britannico delle imprese, dove è stato prima trascritto il passaggio della Nf Football Investments Ltd, la società proprietaria del Forest, da Marinakis a una compagnia chiamata Pittville One Ltd, salvo poi effettuare l’operazione inversa in data 6 giugno 2025, quando la Premier League si era chiusa e la partecipazione in Champions assieme all’Olympiacos era sfumata.

In casa United, invece, il nome del trustee è rimasto segreto. Jim Ratcliffe, boss della Ineos, aveva utilizzato il trucco lo scorso anno per permettere ai suoi Red Devils di essere iscritti all’Europa League dove era già presente il Nizza, e nell’anno corrente lo ha riproposto nell’eventualità che il Manchester fosse riuscito ad agguantare la qualificazione a qualche coppa (la Champions attraverso la finale di Europa League, invece persa contro il Tottenham Hotspur; la Conference nel caso di rimonta in campionato, perché va ricordata la scadenza Uefa del primo marzo per le variazioni societarie relative alle Mco).

Nessuno risponde

Josimar ha scritto a Ineos, Uefa e Federcalcio svizzera per ottenere informazioni sul trustee che dal primo marzo aveva acquisito la proprietà del Losanna, non ricevendo però risposta. Va rilevato come lo stesso giorno il presidente del Losanna Leen Heemskerk si era dimesso dalla carica “per evitare potenziali conflitti di interessi”, venendo sostituito dal suo vice Vincent Steinmann, salvo poi riprendersi la posizione il 12 giugno, a campionati oramai conclusi.

Il modus operandi è il medesimo che ha consentito lo scorso anno a Manchester City e Girona di partecipare alla Champions, attraverso le dimissioni di tre elementi legati al citato Cfg Group dal board del club spagnolo e il trasferimento delle quote a un blind trust. Anche in questo caso, i tre dimissionari sono rientrati nel Consiglio d’amministrazione del Girona l’anno successivo, quando era palese che la squadra non sarebbe riuscita a qualificarsi di nuovo per la Champions. I posti vacanti nel board erano stati presi da Matthew Peter Shayle e da due avvocati dello studio legale Wiggin Osborne Fullerlove.

Secondo Tax Journal, Shayle è un socio di questo studio legale specializzato in diritto tributario e diritto del lavoro, e si occupa principalmente di “fornire consulenza su questioni fiscali e relative al patrimonio privato a clienti dal patrimonio netto molto elevato e ai loro consulenti”. Il nome di Shayle non è citato a caso, visto che compare anche come direttore della Pittville One Ltd, la ‘società dormiente’, costituita con un capitale di tre sterline, che aveva temporaneamente acquisito la proprietà del Nottingham Forest.

Il paradosso della Uefa

Sono attualmente 21 le società nelle quali Shayle ricopre incarichi di amministratore, e molte di queste paiono essere dei blind trust. La Uefa sembra spesso muoversi in direzione opposta rispetto a quanto proclamato. Parla di “processo decisionale trasparente” (Uefa’s United For Success strategy plan 2024-2030) e consente la segretezza dei trustee, non rispondendo a precise richieste di informazione.

Denuncia l’emergere delle Mco quale “potenziale pericolo che può influenzare l’integrità e la competitività di tutti i tornei” (il documento Together for the Future of Football pubblicato nel 2019) e poi apre le porte, o comunque si guarda bene dal tenerle chiuse a doppia mandata, all’aggiramento delle regole.

Dopo il fair play finanziario ridotto a una burletta, anche grazie a quell’arma di ricatto che è stata la Superlega, appare oramai conclamato il processo di erosione della normativa sulle multiproprietà, primo passo verso una futura, possibile deregolamentazione. Chi paga e investe decide, chi governa e controlla si adegua.