Cambiano gli attori ma non lo scopo: permettere ai giovani discatori di coltivare i loro sogni. ‘Per molti sarebbe uno sport altrimenti proibitivo’
Usato sicuro e beneficenza. Sono queste le parole chiave del progetto che da due anni a questa parte vede la Svizzera tendere la mano ai Rinoceronti dell’hockey. Con un primo carico di attrezzatura ‘scartata’ alle nostre latitudini che nella primavera del 2023 era sbarcato in Sudafrica, pronto a trovare nuovi padroni. A due anni di distanza dalla prima puntata, siamo tornati a bussare alla porta di Björn Kinding per capire cosa nel frattempo sia rimasto di quel ponte costruito da Nigel Stanley, con la sua complicità. «Nigel nel frattempo si è trasferito in Inghilterra, io, per contro, dopo tre anni ho ceduto la guida tecnica dei Rinoceronti, per diventarne il mentore», racconta da Edmonton l’oggi 67enne con passaporto svedese e canadese –. Ma il progetto varato due anni fa da Nigel va avanti, grazie a un gruppo di volontari dal cuore d’oro trascinati da Edith Inderbitzin, grande sostenitrice dell’Ev Zugo, che ne ha rilevato il testimone incentivando la raccolta di materiale non più utilizzato in seno al settore giovanile degli svizzerocentrali. Materiale che, come la prima volta, è poi stato spedito in Sudafrica tramite la ditta specializzata in invii internazionali creata da Simon e Jannik Fischer».
‘Il progetto varato due anni fa da Nigel Stanley va avanti: a metà marzo è partito un secondo container in direzione di Johannesburg’
Entrambi i fratelli, non a caso, hanno anche giocato nello Zugo durante la loro carriera sportiva. «Il primo ora vive a Johannesburg, mentre Jannik, dopo aver vestito la maglia anche dell’Ambrì Piotta, è approdato all’Ajoie con cui ha appena ottenuto la salvezza in National League vincendo lo spareggio con il Visp», aggiunge subito il tecnico, volto ben noto alle nostre latitudini in particolare per aver diretto dalla transenna Bienne (dal 1987 al 1991) e Zugo (dal 1991 al 1994) e che per tre stagioni è stato appunto il selezionatore della Nazionale maggiore sudafricana, mostrandosi perfettamente ‘sul pezzo’, pur se all’altro capo dell’Atlantico, quando si parla di campionato svizzero.
«Proprio in queste settimane un container proveniente dalla Svizzera e stipato del materiale raccolto da Edith e dai suoi collaboratori è in viaggio verso Città del Capo. Anche Nigel, pur vivendo in un Paese che non mastica granché questo sport, continua ad aiutare lo sviluppo dell’hockey in Sudafrica come può: di recente è stato in visita a Johannesburg, portando con sé alcune borse con pattini, guantoni, caschi e quant’altro e ha incontrato alcuni giocatori alla Festival Mall Ice Arena, che è il palazzetto del ghiaccio di Kempton».
Cambiano alcuni degli attori, ma non cambia la nobiltà dell’iniziativa le cui basi sono state gettate da Nigel Stanley in Svizzera: «Tutto è ripartito da e con Edith: una nuova partenza di un progetto con il fine medesimo a quello che ha ispirato la prima puntata. Anche se non in prima fila, Edith faceva già parte dell’intera organizzazione fin da subito, preoccupandosi di recuperare l’attrezzatura non più utilizzata dal settore giovanile dello Zugo». «Per questa seconda puntata la raccolta di materiale si è limitata allo Zugo: nel container che a metà marzo ha lasciato la Svizzera con destinazione il Sudafrica (dove arriverà il 6 maggio) c’è materiale che abbiamo raccolto facendo appello unicamente alle famiglie di giovani discatori di Zugo», racconta Edith Inderbitzin. «Rispetto al progetto iniziale portato avanti da Nigel Stanley, stavolta abbiamo ristretto il campo, anche perché erano meno le persone coinvolte, ma siamo comunque riusciti a riempire un container di attrezzatura che farà felici parecchi discatori laggiù, e in particolare i più giovani».
Senza la mano tesa dall’estero, e in particolare dalla Svizzera, l’hockey in Sudafrica sarebbe destinato a essere e rimanere uno sport di nicchia. Pure elitario, complici i costi proibitivi anche di un solo bastone. Figurarsi per il resto dell’attrezzatura, peraltro indispensabile… Ed era appunto per dare la possibilità a tutti, a cominciare dai giovanissimi, di praticare la loro passione per il disco su ghiaccio senza dover fare i conti con il borsellino o, peggio, dovervi rinunciare tout court, che Nigel Stanley aveva deciso di costruire questo ponte diretto tra i due Paesi, con la complicità di diversi attori e la partecipazione di privati e società (pure dal Ticino). Compreso Björn Kinding. A quel progetto iniziale, tanto per citare un’altra vecchia conoscenza delle piste ticinesi, aveva contribuito pure Mike McNamara. Inoltre, nel primo container partito dalla Svizzera e diretto in Sudafrica era stato stipato pure materiale proveniente da Ambrì e Biasca (fra cui v’erano anche alcuni bastoni di Bürgler).
Come è evoluto l’hockey in questi tre anni in Sudafrica? «Il problema principale è che le squadre che militano nel massimo campionato (la South African Super League) sono unicamente tre, cosa che rende decisamente meno attrattivo l’hockey – illustra ancora Kinding –. E sono i club di Pretoria, Città del Capo e Johannesburg. Proprio quest’ultimo negli ultimi anni ha conosciuto un’espansione notevole. Lì hanno investito parecchio, portando pure allenatori professionisti, mentre nelle altre squadre, sovente, l’allenatore è una persona che nella vita di tutti i giorni ha pure un’altra attività. A Johannesburg hanno anche uno stadio che è un po’ un gioiellino, e non a caso è quello che fa da sfondo alle competizioni internazionali. Al di là di ciò, stanno facendo davvero un bel lavoro. A Pretoria stanno pure lavorando bene, e c’è parecchio entusiasmo e ottimismo attorno alla squadra locale: un team giovane, capace però quest’anno di vincere il campionato. Non a caso molti giocatori di questa compagine, il cui presidente è pure General Manager delle selezioni sudafricane, figurano nei quadri della Nazionale. A Città del Capo, per contro, l’hockey sta vivendo un po’ una parabola discendente: tramontata l’era dei vecchi professionisti del campionato, in particolare del proprietario e di suo figlio, ex giocatore della Nazionale, la società sta lottando per far quadrare i conti e sopravvivere. La mia speranza è che possa ritrovare i fasti di un tempo, anche perché ne guadagnerebbe il movimento dell’intero Paese».
Dal 21 al 27 aprile, a Istanbul, i Rinoceronti di Kinding disputeranno i Mondiali di Terza divisione (gruppo B). Con quali ambizioni? «Abbiamo ringiovanito i ranghi della selezione, e in Turchia porteremo un gruppo forse con meno esperienza, ma che davanti a sé ha un buon margine di crescita. Probabilmente all’inizio pagheremo un po’ lo scotto di questa inesperienza, ma è un passo che prima o poi andava fatto. In Turchia ci andiamo con la speranza di riuscire a battere almeno due delle nostre avversarie: Bosnia Erzegovina e Lussemburgo. Con Turchia, Kyrgyzistan e Turkmenistan sarà più tosta, anche perché del gruppo non faranno parte i nostri due migliori difensori: il primo perché appena diventato papà e l’altro perché infortunato». E proprio quest’ultimo, Cameron Birrell, unico... Rinoceronte ad aver giocato all’estero, in stagione ha calcato pure le piste della Svizzera, per vestire la maglia dei WildHogs di Arosa, formazione che milita in Terza Lega. «Sì, è vero, è proprio una bella coincidenza! Cameron è venuto in Svizzera per lavoro, e appena sbarcato si è messo alla ricerca di una squadra che gli desse la possibilità di pattinare e giocare a hockey: alla fine ha trovato ‘casa’ negli Arosa WildHogs. Per lui, e per la selezione, è stata sicuramente una grande opportunità: nei Grigioni ha avuto la possibilità di andare sul ghiaccio tre volte la settimana, mentre in Sudafrica ci si allena giocoforza meno. L’ultima volta che l’ho sentito, mi diceva che non ce l’avrebbe fatta a recuperare in tempo per i Mondiali. Nei prossimi giorni avremo ancora un meeting: vedremo se le cose sono cambiate, ma, salvo sorprese, dovremo verosimilmente fare a meno di lui in Turchia, ed è un vero peccato».