A seguito dell'allargamento indiscriminato dei tornei, partite con scarti umilianti come quella fra Bayern e Auckland City saranno sempre più frequenti
Nella primavera del lontanissimo 1982, quando facevo la prima media, ricordo che mi colpì parecchio vedere la Gran Bretagna scendere in guerra contro l’Argentina, da cui era stata attaccata.
Non che mi scioccasse la cosa in sé – adoravo del resto i film sul tema e sapevo bene che nel mondo diversi altri conflitti erano in corso in quel momento –, ma a meravigliarmi era piuttosto il fatto di veder combattere un Paese europeo, benché la battaglia infuriasse molto lontano da noi, addirittura nell’altro emisfero.
Il mio giovane papà, infatti, da tempo andava ripetendomi che – dopo la barbarie delle due guerre mondiali – nel nostro continente a nessuno sarebbe mai più venuto in mente di mettersi a bombardare qualcun altro. E dunque, la faccenda mi aveva un po’ scombussolato, credo più che altro per l’improvvisa consapevolezza della fallibilità degli adulti e delle loro affermazioni.
Le ostilità fra inglesi e argentini per il controllo delle Falkland cessarono il 14 giugno, quando il Mundial di Spagna era ormai cominciato da un giorno. E proprio nel corso di quel torneo avvenne un’altra cosa che il mio 43enne genitore – mettendoci la mano sul fuoco – assicurava che nessuno avrebbe mai più rivisto nemmeno fosse campato duecento anni. Parlo del tonitruante 10-1 con cui l’Ungheria sconfisse nel turno preliminare El Salvador.
«È una cosa indecente», diceva mio padre alla fine di quel match che guardammo al bar del campeggio dove – appena finita la scuola – ci eravamo fiondati, sulla sponda rocciosa dell’Adriatico. «Indecente», ribadiva il mio vecchio. «Sapevo che l’allargamento della fase finale da 16 a 24 squadre voluto quest’anno da quel mafioso di Havelange (allora presidente della Fifa) non avrebbe portato niente di buono, ma mai avrei immaginato di vedere una squadra segnare ai Mondiali addirittura 10 gol. È qualcosa che non si ripeterà mai più, poco ma sicuro. Del resto, ora partecipano cani e porci (il politically correct a quei tempi non era certo un tema prioritario per i ferrovieri come lui, ma per la verità nemmeno per i docenti), e a noi ora tocca sorbirci queste schifezze di partite con seicento gol».
Purtroppo, nessuna di quelle ottimistiche profezie vaticinate da mio papà si rivelò poi esatta. Infatti, esattamente dieci anni più tardi, la guerra in Europa arrivò eccome, e con una spietatezza inimmaginabile, a dilaniare e cancellare proprio la Jugoslavia, quel Paese così vicino ma così diverso dal nostro, in cui tanto amavamo piantare la tenda quasi ogni anno per un paio di settimane, ma che, variegato com’era al suo interno – dove si covavano rancori a sfondo razziale vecchi di secoli – non eravamo mai riusciti a capire davvero.
E di grosso il mio vecchio si era sbagliato pure sul fatto che nessuno avrebbe mai più visto su un campo di calcio di una grande manifestazione uno scempio simile a quello consumatosi fra magiari e salvadoregni a Elche ai prodromi dell’estate di 43 anni fa. L’altroieri pomeriggio, infatti, nell’ambito della prima edizione del Mondiale per club esteso a 32 squadre – qualificatesi in base a criteri non autenticamente di merito ma squisitamente geografici e politici – abbiamo assistito a qualcosa di ancor più raccapricciante, quando a Cincinnati il Bayern Monaco campione di Germania ha superato addirittura per 10-0 gli impresentabili neozelandesi dell’Auckland City, presenti alla kermesse grazie appunto ai magheggi da abile mercante di Gianni Infantino, che di Havelange è degno erede – come già lo fu Blatter – e che la politica dell’allargamento indiscriminato la sta estremizzando oltre ogni limite.
E sapere che la prossima Coppa del mondo per nazioni (2026) vedrà impegnate addirittura 48 formazioni è qualcosa che terrorizza, se pensiamo alle sempre più probabili umilianti e del tutto inutili batoste che vedremo infliggere ai rappresentanti del calcio più marginale.
L’unica, parzialissima, consolazione è sapere che all’ormai anziano mio padre – classe 1939 e preda di un Alzheimer feroce – certi agghiaccianti spettacoli spacciati invece per affascinanti e imperdibili novità saranno per fortuna risparmiati.