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Le radio che rilanciano e i francesi che s’incazzano

Radio France ha condotto un'inchiesta sulla carriera da corridore di Mauro Gianetti, oggi direttore della Uae, dalla quale emergerebbero pratiche illegali

1 luglio 2025
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Mi è stato piuttosto naturale, un paio di giorni fa, pensare ai versi della canzone di Paolo Conte dedicata a Gino Bartali (e rimaneggiarli alla bisogna), quando mi sono imbattuto - grazie a due amici giornalisti non sportivi che in pratica contemporaneamente me l’hanno segnalato – in un approfondito reportage di Radio France dedicato al ticinese Mauro Gianetti, ex corridore ciclista e oggi direttore della più importante squadra del mondo del pedale.

Il lavoro in questione indaga sulla vita da atleta di Gianetti – parliamo di oltre trent’anni fa - e in particolare sul periodo in cui, quasi alla fine di una carriera senza risultati di particolare rilievo, il campione di Isone cominciò di colpo a vincere gare prestigiose, come ad esempio Amstel e Liegi nel 1995, e l’argento ai Mondiali del 1996. Un’esplosione che stando a Radio France – e dei suoi testimoni che confermano la tesi – può essere spiegata soltanto col repentino passaggio, dopo una vita agonistica a pane e acqua, all’assunzione massiccia di sostanze proibite. Erano, del resto, in assoluto gli anni più neri della storia del ciclismo, un’epoca in cui vincere non era possibile se non ti dopavi. Proprio a quei tempi, infatti, risalgono i casi più clamorosi di frode da doping, che spesso coinvolgevano non soltanto singoli corridori, ma intere squadre. Risulta dunque più che possibile – benché Gianetti non sia mai stato trovato positivo ad alcun controllo – che il ticinese, nella lontana seconda metà degli anni Novanta, abbia sgarrato, proprio perché, come detto, imbrogliare era pratica diffusissima.

La cosa più grave, ad ogni modo, non stava tanto nel barare in sé, visto che si tratta di un vizio antico come il mondo e certamente non ristretto all’ambito sportivo: il vero problema stava nel fatto che, allora, chi si dopava rischiava davvero di procurarsi seri danni alla salute. Tanto che, sempre stando a Radio France, lo stesso Gianetti – ospedalizzato dapprima a Martigny e poi a Losanna dopo una crisi sopravvenuta al Tour de Romandie del ’98 – si è ritrovato fra la vita e la morte non per colpa di un’allergia come lui e la sua squadra sostennero in via ufficiale, bensì per l’assunzione in vena di perfluorocarburo (un sostituto sanguigno che migliora il trasporto dell’ossigeno nell’organismo), come invece nell’emergenza comunicarono ai medici affinché potessero curarlo nel modo più appropriato. Secondo la stessa inchiesta, Gianetti e i suoi legali avrebbero poi impedito ai dottori in questione di rivelare la vera causa del malore occorsogli, un silenzio che impedì a chi indagava sul doping in quegli anni di fare fino in fondo il proprio lavoro.

Il quadro non descrive certo una situazione troppo virtuosa, ma è innegabile che – comunque siano andate le cose - stiamo parlando di 30 anni fa, tempi estremamente lontani e diversi da quelli attuali e sui quali risulterebbe ingiusto, oltre che probabilmente inutile, soffermarsi troppo. Radio France, che come detto ha pubblicato buoni contenuti, sbaglia però a corredare il servizio di dichiarazioni provenienti da personaggi più o meno direttamente coinvolti nell’attuale mondo del pedale, secondo i quali oggi Tadej Pogacar e la Uae dominerebbero proprio grazie al doping, e che a muovere i fili di questo enorme imbroglio sia proprio il dirigente ticinese, il quale, sempre secondo gli interlocutori della testata francese, risulterebbe inattaccabile per via della posizione che occupa, quella di deus ex machina della più ricca, più vincente e più potente squadra del panorama mondiale. I dati, però, parlano chiaro e a favore di Gianetti: dal 2017, cioè da quando dirige la Uae, nessun corridore della sua squadra è infatti mai risultato positivo ad alcun controllo, e la lotta al doping oggi è condotta davvero in modo molto serio.

Questa improvvisa sollevazione contro Mauro Gianetti – manifestatasi fra l’altro proprio alla vigilia del Tour de France – potrebbe dunque anche esser figlia della frustrazione dei francesi, che non mettono più le mani sulla Grande Boucle dai tempi di Hinault (1985), e che dunque continuano a incazzarsi proprio come sostiene il divino Paolo Conte.