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Sinner contro Alcaraz e gli altri stanno a guardare

Oltre all’ennesima sfida fra l’italiano e lo spagnolo, Wimbledon ’25 ha proposto anche le belle storie di Belinda Bencic e Anisimova

In sintesi:
  • Dopo la bruciante sconfitta subita da Alcaraz a Parigi, Sinner si è ripreso una rivincita in cui, forse, pochi credevano, specie sull’erba
  • Nel cammino dell’altoatesino verso il titolo londinese è stato probabilmente determinante l'infortunio che ha tolto di mezzo Dimitrov quando, negli ottavi contro l’azzurro, si è infortunato e ha dovuto ritirarsi mentre stava dominando e pareva lanciato verso un successo sicuro
  • Non ha potuto nulla Amanda Anisimova contro la polacca Iga Swiatek nella finale del torneo femminile, ma la sua è senz’altro una storia di riscatto molto commovente
  • I tifosi rossocrociati hanno poi gioito per le prestazioni di Belinda Bencic, capace di raggiungere la semifinale di uno Slam a distanza di sei anni dall’ultima volta, e due anni dopo aver dato alla luce una bimba
15 luglio 2025
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Dopo aver stretto la mano a Carlos Alcaraz e al giudice di sedia, Jannik Sinner rientra in campo a prendersi gli applausi del pubblico. Dopo pochi secondi però si accovaccia, punta la testa della racchetta sul prato e si prende un momento di pausa dal mondo, quindici secondi che ci sembrano più lunghi. È significativo del suo carattere il fatto che nel momento di massima gioia, Jannik Sinner si sia raccolto in sé stesso, cercando un attimo di interiorità. Dopo ha preso parola al microfono e ha brillato nell’arte di dire poco ma con grande diplomazia.

Ci ha tenuto a tenere nascosto al mondo cosa stava provando veramente. Un campione introverso, geloso della propria riservatezza, che condivide poco col mondo - nell’epoca in cui, attraverso i social, è quasi sconveniente non offrire un’ampia finestra su sé stessi e la propria vita. Forse anche per questo Sinner è un campione meno tifato del suo rivale estroverso, Carlos Alcaraz, che caratterialmente è quasi agli antipodi. Il suo 2025 avrebbe steso mentalmente qualsiasi altro tennista. L’Australian Open vinto con una squalifica pendente per doping, e poi tre mesi fermo, mentre la sua immagine rischiava di venire compromessa a fondo. Dal ritorno, poi, Jannik Sinner ha vinto quasi tutte le partite, ma ha perso da Alcaraz a Roma, e poi a Parigi: la sconfitta più sadica che si possa immaginare, arrivata nonostante tre matchpoint a disposizione.

In molti ne hanno cantato il funerale: si sarebbe mai ripreso da una sconfitta del genere? Forse sì, ma per quanto ancora avrebbe sanguinato quella ferita? Quando si presentava ai microfoni non facevano che chiederglielo: “Pensi ancora a quella finale?”; “Pensi di avere recuperato mentalmente da quei tre matchpoint?”.

Ce lo siamo chiesti anche noi, quando è andato a servire sul 4-3 nel quarto set, in vantaggio di due set a uno. Fino a quel momento aveva giocato meglio di Carlos Alcaraz, ma questo contava poco. Avrebbero contato i game e i punti successivi: se li avesse vinti Sinner, avrebbe vinto il suo primo Wimbledon e interrotto una striscia di venti vittorie consecutive di Alcaraz nello slam londinese. L’ultimo a batterlo era stato lui. Li avesse vinti Alcaraz, quegli ultimi game del set, si sarebbe andati a un quinto, di nuovo, dopo i fuochi d’artificio della finale del Roland Garros. A quella distanza Alcaraz sarebbe stato favorito, visti il record diametralmente opposto di entrambi, molto positivo per Alcaraz e molto negativo per Sinner.

Sul 4-3 di quel quarto set Sinner concede due palle break, in un game in cui è sembrato teso e poco sciolto nei movimenti; ma è riuscito a cavarsi fuori dai problemi grazie al servizio, e al coraggio che gli ha fatto forzare spesso anche la seconda palla. Come fanno i grandi campioni, ha scacciato dubbi e incertezze aumentando il rischio, facendo un atto di coraggio. Alcaraz è sembrato scarico, incapace di creare l’attrito e le fiammate con cui in genere riesce a disinnescare il gioco aggressivo di Sinner. Ha provato come al solito a creare scompiglio col suo dritto, a prolungare gli scambi, ma è stato passivo e impreciso, in balia del ritmo del suo avversario. A un certo punto, esasperato, si è lamentato al suo angolo di non sapere cosa fare, che l’altro stava giocando troppo meglio di lui; che non sapeva come contrastare il suo scambio da fondo.

In realtà era già successo al Roland Garros che Alcaraz non riuscisse a giocare al ritmo di Sinner, ma poi era stato capace di sabotarne la stabilità mentale nei punti decisivi, a prolungare la partita verso una durata in cui il tennis ad alto coefficiente di difficoltà dell’italiano si è sgretolato. Su erba, con la velocità scivolosa, è stato più difficile riuscirci, e si è giocato nel tennis da galleria del vento di Sinner, che ha anche servito e risposto meglio di Alcaraz. Il dittico di finali al Roland Garros e a Wimbledon, le prime Slam tra loro due, ha ufficialmente stappato la rivalità, e certificato la loro superiorità rispetto al resto del circuito maschile.

Alcaraz è stato il primo a battere Sinner in una finale Slam, Sinner è stato il primo a battere Alcaraz in una finale Slam. Lo spagnolo è avanti nei confronti diretti e negli Slam vinti, ma Sinner è in costante crescita e - a voler guardare le cose da una certa prospettiva - è stato a un solo punto dal completare il Career Grand Slam ad appena 23 anni. Cosa resta per gli altri?

Torneo maschile, contenti e delusi

La sliding door decisiva del torneo di Sinner è arrivata agli ottavi di finale. In vantaggio di due set, Grigor Dimitrov si è strappato il pettorale durante un servizio. Fino a quel momento aveva mandato in panne il gioco dell’italiano con schemi da tennis classico: un grande servizio e un back di rovescio che non si alzava dal prato. Dimitrov ci ha spezzato il cuore: per due set ha giocato un tennis così bello che per riuscirci, per renderlo possibile, ha dovuto strapparsi il petto. Cosa sarebbe successo se avesse vinto quella partita, come tutto lasciava pensare, non possiamo saperlo.

Taylor Fritz è andato molto vicino a trascinare Alcaraz al quinto set in semifinale, approfittando di una prestazione pigra dello spagnolo, ma giocando anche con intensità e potenza. Il modo in cui Fritz, non certo un talento naturale, è riuscito a migliorare sé stesso è ammirevole; adesso però sembra aver raggiunto i propri limiti: vincere uno Slam, a questo punto, non dipende solo da lui. Stesso discorso che si potrebbe fare per Shelton, Zverev, Rublev, Tiafoe e altri giocatori che sembrano essere arrivati al massimo delle proprie possibilità.

Novak Djokovic si è infortunato nel terzultimo punto giocato contro il combattivo Flavio Cobolli. È stato preso in controtempo da un nastro, e cadendo ha piegato la gamba in modo innaturale. Eppure dopo la netta sconfitta con Sinner, in cui è sembrato in chiara difficoltà fisica, ci ha tenuto a non voler parlare di infortuni. Sarebbe stata una mancanza di rispetto verso Dio, ha detto, che gli ha regalato una carriera lunga e al riparo dagli infortuni.

Ai microfoni Djokovic è apparso brutalmente onesto; ha detto che il problema non sono gli infortuni ma la vecchiaia. «Il tempo mi ha colpito forte, nell’ultimo anno e mezzo» ha detto, lucido ma risolto, l’aria di chi vuole godersi l’ultimo tempo che la sua carriera gli concede senza dover dimostrare niente. Solo godersi gli ultimi raggi del tramonto.

Le eliminazioni di Jack Draper e Lorenzo Musetti sono state deludenti. L’inglese soffre ancora la pressione dello Slam casalingo, e ha qualcosa da aggiustare sul suo tennis su erba; Musetti è arrivato infortunato, e provato dalla lunga stagione su terra rossa. La sorpresa del torneo è stata invece Flavio Cobolli, ennesimo prodotto dell’inesauribile movimento italiano. Un giocatore senza apparenti eccezionalità, ma con uno spirito agonistico in grado di far vacillare persino Novak Djokovic.

Straziante la finale femminile

La finale femminile ha invece offerto uno spettacolo straziante, duro da guardare. Iga Swiatek ha sconfitto Amanda Anisimova con un doppio 6-0: non succedeva a Wimbledon da 114 anni e in uno Slam in generale da 37 - da quando cioè Steffi Graf batté Zvereva al Roland Garros. La partita è durata 57 minuti e alla fine Amanda Anisimova ha chiesto scusa per lo spettacolo scadente. Quanto sarà costato il biglietto al minuto?

È stato impossibile non empatizzare con Anisimova, soprattutto se si conosce il suo percorso. Ragazza prodigio, vincitrice degli Us Open juniores, a 17 anni ha raggiunto la sua prima semifinale Slam al Roland Garros. Era il 2019 e poche settimane dopo suo padre, che era anche il suo allenatore, è morto per un arresto cardiaco. Anisimova ci ha messo sei anni per rimettere insieme i pezzi, passando anche per un periodo sabbatico la scorsa stagione. Non provava più gioia ad allenarsi e a giocare partite.

Per questo è stato particolarmente duro vederla non riuscire a esprimere un briciolo del suo talento, proprio nella partita che ha sognato per tutta la vita. Il suo discorso in cui ha ringraziato sua madre - “la persona meno egoista che io conosca” - è stato toccante.

Dall’altra parte Iga Swiatek ha vinto la sua sesta finale Slam su sei; questa però è stata più eccezionale delle altre, di certo la meno attesa. Swiatek arrivava senza aver vinto titoli su terra, la sua superficie preferita, per la prima volta in carriera. A Wimbledon aveva fatto massimo i quarti di finale. Invece ha giocato alcune delle partite migliori della sua vita, brillando per rapidità dei movimenti e per un dritto che non ha lasciato scampo a nessuna. Tra semifinale e finale ha perso la miseria di due game.

Belinda e le altre

Belinda Bencic ha opposto scarsa resistenza a Swiatek in semifinale, forse a corto di benzina dopo la grandissima prestazione ai quarti contro Mirra Andreeva. È stata una delle più belle partite del torneo, con Bencic fenomenale nel comandare il gioco dal centro con i suoi colpi in anticipo, e Andreeva straordinaria nell’allungare lo scambio, brava a tenere il punteggio in equilibrio grazie anche al servizio. È stato un match equilibrato, deciso infine dalla maggiore freddezza ed esperienza di Bencic nei momenti chiave. Nonostante la sconfitta, Bencic può essere orgogliosa di una semifinale Slam raggiunta sei anni dopo la prima, e due anni dopo la sua gravidanza.

Aryna Sabalenka ha vissuto il giorno della marmotta. Come negli altri Slam del 2025 ha rimediato una sconfitta bruciante contro un’avversaria meno quotata, in questo caso Anisimova - in Australia era stata Madison Keys, a Parigi Coco Gauff. Di nuovo ha perso una partita equilibrata e giocata punto a punto, in cui si è rivelata poco lucida quando si trattava di chiudere, e di far valere il suo pedigree di campionessa.

È la numero 1 del mondo, in questo momento una delle due migliori giocatrici, ma nel 2025 non ha ancora vinto uno Slam e in queste sconfitte c’è un pattern chiaro e su cui deve lavorare. A Wimbledon 2025 l’erba si è confermata una superficie delle contraddizioni: moderna e tradizionale, capace di premiare il gioco offensivo ma non troppo; aperta a sorprese ma capace di premiare, infine, solo i migliori.