La rinascita del bisonte

Tra 30 e 60 milioni di bisonti percorrevano un tempo le Grandi Pianure del Nord America, plasmando il paesaggio e sostenendo i popoli che chiamavano casa quella regione. La loro quasi totale estinzione nel XIX secolo fu una delle perdite più devastanti nella storia ecologica e culturale del continente. Eppure, oggi, nonostante sfide incredibili, sia i bisonti che le comunità native che li venerano continuano a resistere con forza. “Probabilmente non esiste una storia di rinascita più forte al mondo”, afferma Heather Dawn Thompson, vicepresidente WWF per la Conservazione delle Nazioni Native. “Sono animali resilienti e forti e noi abbiamo bisogno di loro tanto quanto loro hanno bisogno di noi”. Il WWF sostiene queste comunità per aiutare a riportare i bisonti nelle loro terre ancestrali: i bisonti sono specie chiave che modellano le praterie con il loro pascolo, creando habitat per uccelli, impollinatori e innumerevoli altre specie. Tra i branchi di bisonti, sono le matriarche a guidare. Lo stesso vale da generazioni per molte Nazioni Indigene, inclusi i Lakota, la cui cultura si basa sulla loro antica relazione con questi animali. “La matriarca è la protettrice e la custode della saggezza”, spiega Monica Rattling Hawk, coordinatrice tribale del WWF. “L’hanno imparato dalla madre e dalla madre prima di lei”.
Mentre a Belém, in Brasile, la COP30 pone sotto i riflettori il ruolo cruciale dei popoli indigeni nella protezione del clima – con una partecipazione record di 3’000 rappresentanti indigeni –, nelle Grandi Pianure americane si sta scrivendo un’altra storia di rinascita guidata dalle comunità native: il ritorno del bisonte. La conferenza sul clima in Amazzonia ha lanciato un messaggio chiaro: i popoli indigeni non sono semplici beneficiari della conservazione, ma i suoi veri protagonisti. Un principio che il WWF applica anche nel lavoro con le donne Lakota, nel Nord America. Il ritorno dei bisonti rappresenta non solo una vittoria ecologica, ma anche il riconoscimento di saperi millenari. Per le comunità native questi animali sono parte integrante della loro identità culturale e spirituale. Monica Rattling Hawk, coordinatrice tribale del WWF, spiega: “Nei branchi di bisonti, le matriarche guidano. Portano la saggezza del paesaggio – la conoscenza delle erbe, dell’acqua, dei movimenti – tramandata di madre in figlia per generazioni”. Mentre il bisonte torna nelle praterie, stanno guarendo sia la terra che le persone. Le erbe autoctone stanno ritornando, la fauna selvatica segue le loro tracce. “Loro hanno noi adesso”, dice Alexa Federick-Romero, comproprietaria del Rez Raised Ranch. “Apparteniamo a loro. È come un completamento”. Per molti giovani, la vista dei cuccioli di bisonte accanto alle loro madri offre un potente promemoria di continuità. “Vedere i cuccioli con le loro madri mi dà speranza”, afferma Summer Romero. “Siamo arrivati al punto in cui non ce n’erano quasi più, e ora vederne così tanti sulla terra mi dà speranza”.
Alla COP30 di Belém, in Brasile, i popoli indigeni hanno fatto la storia: per la prima volta, oltre 1’000 rappresentanti hanno ottenuto accesso diretto alla “Blue Zone”, il cuore dei negoziati sul clima. Un record assoluto che riflette un cambiamento profondo nel modo in cui il mondo affronta la crisi climatica. I numeri dimostrano perché questa partecipazione è cruciale: i territori indigeni dell’Amazzonia rappresentano un deposito di carbonio di circa 340 milioni di tonnellate di CO2, rendendoli una delle strategie di mitigazione e adattamento più efficaci al mondo. Eppure, storicamente, meno dell’1% dei finanziamenti climatici ha raggiunto effettivamente queste comunità. La COP30 ha cercato di correggere questa ingiustizia con il lancio del Tropical Forest Forever Facility (TFFF), un meccanismo di finanziamento da 125 miliardi di dollari per proteggere le foreste tropicali. Il 20% di questi fondi è riservato ai popoli indigeni e alle comunità locali. È un riconoscimento concreto che la conservazione più efficace avviene quando le risorse raggiungono direttamente chi protegge i territori da generazioni. Nelle Grandi Pianure del Nord America, il WWF applica gli stessi principi nella conservazione del bisonte con le Nazioni Native. Il programma non impone soluzioni dall’alto, ma sostiene la visione delle comunità stesse, riconoscendo che loro comprendono meglio di chiunque altro il proprio territorio e le proprie necessità. La famiglia Rattling Hawk-Romero rappresenta questa filosofia in azione: tre generazioni di donne – Monica, sua figlia Alexa e sua nipote Summer – che guidano il ritorno del bisonte nelle loro terre. Il loro ranch, Rez Raised, non è solo un’operazione di conservazione, ma un atto di sovranità culturale e autodeterminazione.
Ogni anno, le 48 comunità di Totonicapán, una regione indigena Maya K’iche nel Sud-ovest del Guatemala, si riuniscono per eleggere un consiglio e un presidente con un unico mandato: proteggere e rinaturalizzare la loro foresta comunale di oltre 21mila ettari. Nel 2024, questa responsabilità è toccata a Germán Santos, che porta con sé un bastone cerimoniale nero, simbolo della sua autorità come leader indigeno. “Questa è un’opportunità unica nella vita che non potrò mai ripetere”, spiega Santos. Il ruolo non è retribuito – fa parte di un modello di servizio volontario che i K’iche praticano da secoli. “È un privilegio avere questa responsabilità. Ma se non agirò nel modo giusto per la mia comunità, porterò il peso della loro vergogna”. I K’iche hanno gestito con successo le loro risorse naturali per secoli. Oggi, grazie alla partnership con il WWF attraverso il programma Russell E. Train Education for Nature, questa saggezza millenaria si unisce al supporto tecnico moderno per amplificare i risultati. L’organizzazione EcoLogic ha guidato un progetto forestale su larga scala a Totonicapán, dove 13 serre ospitano oggi circa 16mila piante ciascuna, tra cui cipressi nativi, pini, abeti e ontani. Negli anni migliori, fino a 125mila piante raggiungono la maturità in queste serre, per poi essere distribuite tra i membri della comunità e ripiantate in circa 100 ettari di aree degradate. “Queste comunità sono sempre state organizzate attorno alla conservazione”, afferma Ardany de León, educatore ambientale con oltre 25 anni di esperienza. “È una pratica ancestrale prendersi cura e proteggere la foresta. Il mio ruolo qui è semplicemente di supporto tecnico”.