Disavventure latine

Disavventure latine. Rio-Vidigal: favela e ritorno

A Rio de Janeiro ci siamo stati tutti. Anche quelli che non ci sono stati mai, grazie a film, canzoni, partite di calcio, foto delle spiagge…

Uno sguardo verso il mare dal sentiero che da Vidigal porta a Dois Irmãos con la baraccopoli di Rocinha e sullo sfondo i grattacieli di São Conrado
(© Roberto Scarcella)
1 giugno 2025
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Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Ho sempre tifato contro il Brasile del “joga bonito”, che i miei amici adoravano, che tutti adorano, preferendo la classe più spigolosa di argentini e uruguaiani. Sentivo continuamente storie di turisti rapinati e malmenati a Rio. E c’era un chiassoso amico di famiglia con delle compilation insensate in cui musica cialtronesca come la Lambada si mischiava ai capolavori della bossanova, confondendomi e facendomi odiare tutto, senza distinzioni. Il portoghese dei brasiliani, poi, è quasi incomprensibile per via dei loro birignao. Insomma, io il Brasile ce l’avevo qui. Poi, per caso, dentro una libreria, ho ascoltato “Para Machucar meu coração” di João Gilberto. Me ne sono innamorato. Sono partito da lì e ho capito che dovevo vederlo con i miei occhi, il Brasile. Ci sono andato. Avevo torto. Ve lo racconto qui.

A Rio de Janeiro ci siamo stati tutti. Anche quelli che non ci sono stati mai. I film, le canzoni, le partite di calcio, le foto delle spiagge e dei sambodromi, i racconti – spesso esagerati – di chi c’è stato magari solo per un weekend o si è fermato lì per sempre. Copacabana è un luogo dell’anima condiviso, sebbene fatto perlopiù di carne. E così la vicina Ipanema, perfettamente riassunta in una sola canzone e in una sola ragazza da Vinícius de Moraes e Antônio Carlos Jobim, portata a spasso per il mondo da tante voci, Frank Sinatra compreso. Anche se per capirla davvero, la Garota de Ipanema, esiste solo una versione, quella di João Gilberto e Stan Getz (cantata da Astrud Gilberto). Ecco, se entri dentro quelle note, Rio de Janeiro ti resta appiccicata addosso più della sua sabbia e uscirne diventa impossibile.

Un’ossessione, un enigma

Per molti, Rio diventa un’ossessione, per altri un enigma. Perché oltre a Copacabana, il Corcovado e i luoghi del turismo di massa c’è molto di più. Una delle chiavi per risolvere, almeno in parte, l’enigma, mi è stata consegnata da uno dei tanti ossessionati da questa città, a tal punto che è venuto a viverci.

Non smette mai di ripetere che “Rio è la città più bella del mondo”. E io non so se sia vero, ma mentre lo dice lui non puoi non crederci. Lui si chiama Andrea, e da ragazzini vivevamo a un paio di palazzi di distanza, in Liguria. Iniziò a frequentare il Brasile da giovanissimo, fino a passare sempre più tempo là che qua. Da quattro anni non torna nemmeno più. Fa la guida turistica, ma anche un sacco di altre cose: se vuoi affittare una stanza, trovare un biglietto introvabile per vedere giocare il Flamengo al Maracanã, infilarti in una scuola di capoeira o di samba, noleggiare lettino e ombrellone stando certo che se ti tuffi in acqua al tuo ritorno ci sarà ancora il portafoglio o avere un buon contatto altrove, a San Paolo o a Salvador, basta affidarsi a lui.


© Roberto Scarcella

Andrea vive in una favela, quella di Vidigal. E gira in moto. Sul manubrio della sua moto, al centro, c’è un piccolo filo di ferro simile a un’antenna con in cima un gancetto. “Sai a cosa serve?”. No. “Serve a non morire. E serve a capire se quella moto arriva da una favela oppure no”. O meglio: “Nelle favelas si fa largo uso di aquiloni, e molti aquiloni hanno fili molto taglienti. Il gancio serve a bloccare il filo dell’aquilone e farlo arrotolare evitando danni, anche gravi”. Con danni anche gravi s’intende che si può rimanere gravemente feriti. Ci sono stati anche dei morti. Perché un filo estremamente tagliente che ti arriva sul collo mentre vai ad alta velocità può quasi decapitarti. I fili sono così taglienti perché parte del gioco, diffusissimo nelle favelas, è abbattere gli aquiloni altrui. “Questo in città non succede, e quindi puoi riconoscere al volo, guardando chi ha il gancetto, chi arriva da una favela”.

Sempre la sua moto m’insegnerà un’altra verità su Rio. Ovvero che per certi versi può essere molto più sicura una favela del centro turistico. In centro, infatti, Andrea si premura sempre di mettere la catena. A Vidigal, la favela dove vive, lascia invece la moto in strada con le chiavi inserite e il casco in vista. Non gliel’hanno mai toccata. “Se facessi così a Copacabana non faremmo in tempo ad andare a bere un caffè che sarebbe già sparita”.

Lusso e miseria a braccetto

Le favelas a Rio sono circa 750. Ognuna ha la sua storia e alcune sono off-limits non solo per il turista, ma perfino per la polizia. Vidigal, appena 15mila abitanti, è una cosiddetta favela pacificata, nel senso che la guerra tra bande per controllarla è finita qualche anno fa. Al comando ora ci sono gli stessi che dominano Rocinha, poco più a sud, la favela più grande di tutta l’America Latina (impossibile fare un censimento, c’è chi dice 72mila abitanti, chi oltre 200mila).


© Keystone
Rocinha

Da Vidigal, salendo sulla collina di Dois Irmãos ci si può godere uno dei panorami più belli della baia di Rio. Intorno a te c’è tutto, compreso l’immancabile turista italiano che – con quell’estrema sicumera che solo un ottuso può avere – dà suggerimenti non richiesti per migliorare trasporti e catena della ristorazione in una città che non conosce. Se però si volge lo sguardo dall’altro lato si può vedere l’enorme, infinita baraccopoli di Rocinha confinare con le ville con la piscina sul tetto del ricco quartiere di São Conrado, tra i più esclusivi della città. Lusso e miseria raramente nel mondo vanno così a braccetto.


© Roberto Scarcella

A Vidigal si arriva dalla strada che collega il centro di Rio con il sud. Se si vuole entrare ci sono due possibilità, un ponte pedonale, controllato 24 ore su 24 da giovani sentinelle in borghese e la piazza centrale, dove i taxi e gli Uber si fermano, fanno il giro e tornano indietro. A nessuno, se non a coloro che pagano il pizzo, è permesso fare servizio di trasporto dentro la favela, dove pullulano – come sciami d’api – i mototaxi. Chi li guida è tenuto a dare un fisso settimanale ai signori del quartiere: tutto quel che incassano in più resta invece a loro. Se guadagnano meno, fanno la fame. Il controllo sul quartiere è totale, perfino l’allaccio di internet passa per la banda al comando. Certo, non si va a trattare il wi-fi con un gangster armato, ci sono uffici con ragazze in divisa, come in una qualunque compagnia telefonica. Solo che la compagnia telefonica è la cosca locale.

Il controllo, in una favela, è fondamentale. Per questo ci sono sentinelle piazzate in ogni punto strategico ed è assolutamente vietato fare foto se non in alcune strade specifiche (se fotografi un’area di spaccio, nel migliore dei casi ti viene portato via il cellulare). In cima a Vidigal, dove si arriva con una corsa in mototaxi, ci sono alcuni locali che sembrano non avere nulla a che fare con una favela. Lì le guardie sono armate di mitra in bella vista. Al viaggiatore di turno possono lasciare perplessi, eppure, mi assicura Andrea, “nessuno lì ti torcerà un capello, nemmeno di notte”. E così in effetti è stato, perfino quando con tutti i bagagli, soldi e documenti, sono rimasto per mezz’ora, all’una di notte, fuori da casa di Neusa, la simpatica signora da cui avevo affittato una camera, che si era nel frattempo addormentata. Un vicino, che avrebbe potuto rapinarmi o peggio senza che nessuno sapesse mai nulla, mi ha invece aiutato a svegliarla.


© Roberto Scarcella

Gusto vero, magia ovunque

A Vidigal, in un ristorante sulla strada, ho mangiato anche la feijoada più buona in un mese di Brasile, molto più di quella della rinomata Casa della Feijoada, in centro. Lì ho scoperto la farofa, una farina di manioca trattata (dalla consistenza simile alla sabbia) che si mette a manciate, a mo’ di parmigiano, sulle pietanze. E il succo d’ananas con la menta (Abacaxi com hortelã), una bevanda tanto semplice quanto divina che in Brasile mi ha fatto (quasi) dire addio agli alcolici. Riprovata in Europa con gli ananas d’importazione, non ha nulla a che vedere con l’originale.

Fiumi di caipirinha e cachaça scorrono invece a Lapa, dove ci sono i locali notturni più frequentati, come Beco do Rato (traduzione letterale “Il vicolo del topo”, ed è facile immaginare perché): uno dei tanti luoghi magici della città, in cui la musica e l’allegria dei brasiliani s’impossessano di te (la mia serata “entro, bevo una cosa, ascolto un paio di canzoni e me ne vado” si è protratta fino alle 2.30 del mattino).


© Roberto Scarcella

Ma la magia è ovunque, anche nella zona del porto, in cui i bambini si tuffano in acqua a poche decine di metri dalle navi da crociera; o a Lagoa, la grande laguna oscurata nelle brochure turistiche dalle spiagge, dove si può noleggiare per pochi reais una bicicletta incrociando venditori di cocco armati di machete (sia per romperlo che per intagliarti un cucchiaio con cui, finito di bere, puoi tirare su, a mo’ di gelato, la polpa), pappagalli veri in libertà, finti cigni-pedalò, partite di baseball improvvisate, famiglie in ghingheri e altre in pigiama dividere lo spazio del picnic.


© Roberto Scarcella

È una Rio meno caotica, da abbinare al maestoso giardino botanico, non molto lontano, in cui sfuggire al rumore e alla compagnia di chi – qualche strada più in là – Rio la inghiotte con la frenesia di un cane affamato, privandosi del piacere di gustarla, masticarla, farsela rigirare nel palato. Una città così bella, in alcuni scorci, da farti anche digerire sconfitte cocenti, nell’animo e nella temperatura esterna come quella patita in un campo da tennis pubblico ad Aterro do Flamengo contro Andrea.


© Roberto Scarcella

Lì si arriva, ci si siede e si aspetta il proprio turno, facendo amicizia con chi attende. Non bisogna pagare nulla. Solo accertarsi che tutto sia a posto quando arrivi e quando te ne vai. Si gioca per 45-50 minuti, poi si lascia spazio agli altri. A pochi metri c’è la spiaggia. Sullo sfondo, imponente, come un giudice di sedia fuori scala che ti osserva dall’alto, c’è il Pan di Zucchero. Non c’è posto migliore al mondo per perdere 6-0 6-1 contro un amico.