La capitale del Brasile, frutto della visionarietà di Kubitschek e Niemeyer, è nata come un'utopia e tale è rimasta
Pubblichiamo un contributo apparso su ticino7, allegato a laRegione
Ho sempre tifato contro il Brasile del “joga bonito”, che i miei amici adoravano, che tutti adorano, preferendo la classe più spigolosa di argentini e uruguaiani. Sentivo continuamente storie di turisti rapinati e malmenati a Rio. E c’era un chiassoso amico di famiglia con delle compilation insensate in cui musica cialtronesca come la Lambada si mischiava ai capolavori della bossanova, confondendomi e facendomi odiare tutto, senza distinzioni. Il portoghese dei brasiliani, poi, è quasi incomprensibile per via dei loro birignao. Insomma, io il Brasile ce l’avevo qui. Poi, per caso, dentro una libreria, ho ascoltato “Para Machucar meu coração” di João Gilberto. Me ne sono innamorato. Sono partito da lì e ho capito che dovevo vederlo con i miei occhi, il Brasile. Ci sono andato. Avevo torto. Ve lo racconto qui.
Da Salvador sono salito su un aereo e dopo un paio d’ore sono atterrato in un futuro sognato a fine Ottocento da un prete che diventerà santo (Giovanni Bosco) poi progettato e costruito negli anni Cinquanta sotto la cocciuta guida di un presidente visionario, Juscelino Kubitschek, e un genio dell’architettura, Oscar Niemeyer. Un futuro che oggi non è più catalogabile né incasellabile.
© Keystone
Oscar Niemeyer
Brasilia, la capitale nata dal nulla e nel nulla, lontana da tutto e inaugurata ufficialmente il 21 aprile 1960 – dopo appena 41 mesi di lavori –, è rimasta un’anomalia, una città, se non addirittura un mondo, a parte. Non sembra un luogo di questo presente, ha dentro troppo futuro per essere considerata passato, eppure oggi il futuro lo costruiremmo diversamente. Arrivare a Brasilia è come affacciarsi in una di quelle vecchie copertine dei romanzi fantascientifici della collana Urania disegnate per dare un contesto a storie di luoghi che possono esistere solo nell’immaginazione.
Specie nei weekend, quando la città riprende fiato, la capitale del Brasile sembra quel che resta del set di un film distopico, soprattutto lungo l’Eixo Monumental, l’Asse Monumentale, la strada di 16 chilometri – e larga in alcuni punti fino a 260 metri – che è di fatto la spina dorsale della città. O meglio, la fusoliera di un aereo o il tronco di un uccello, perché è così che l’urbanista Lúcio Costa, il paesaggista Roberto Burle Marx e Niemeyer hanno immaginato Brasilia. Basta vedere una mappa della città dall’alto per capire e restare affascinati come davanti alle misteriose linee di Nazca.
© Google Earth
Nel centro esatto c’è la stazione degli autobus (la Rodoviária), alla sua sinistra e alla sua destra si estendono quartieri che danno forma a due ali giganti (lungo, appunto l’Eixo Rodoviário). Come uno strumento di precisione che potesse funzionare con al suo interno 600mila persone (la proiezione iniziale, oggi ci vivono circa 3 milioni di abitanti), nulla a Brasilia è stato lasciato al caso. L’ossessione per la geometria, le forme e i numeri (le strade non hanno nomi), anziché opprimerti ti lascia un forte senso di libertà. D’altronde è la natura stessa, prima ancora degli uomini, ad apparire assoggettata e indissolubilmente legata alla geometria e alle serie di numeri che si ripetono.
Così, a Brasilia, ci si può svegliare una domenica mattina in un hotel accanto all’Eixo Monumental e decidere di camminare in mezzo a una delle due strade a sei corsie nella certezza di non vedere un’auto anche per lunghi minuti. Di non vedere una bicicletta, un essere umano, un cane. Niente e nessuno. Anche perché Brasilia, in quanto centro politico del Paese strettamente legato ai tempi della vita governativa, da venerdì a domenica si svuota (l’esatto opposto dei luoghi turistici, con le tariffe degli hotel di lusso che possono scendere, nei weekend, da 500 a 50 dollari). Ci si sente quasi dei sopravvissuti a vagare tra palazzi troppo grandi e troppo lontani tra loro in un luogo che non è nato per contemplare passeggiate, ma quasi solo spostamenti su mezzi di locomozione.
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Descritta così, Brasilia sembra quasi disturbante. Basta invece capirla, comprendere la sua unicità e immergersi nei suoi quartieri, che sembrano tutti uguali – con edifici bianchi e squadrati e ampi giardini – eppure uguali non sono. C’è sempre uno scarto: un terrazzo, una facciata, una finestra, un portone o una cassetta delle lettere che ti fa pensare che ne sia valsa la pena spingersi un po’ più in là, anche se di architettura sai di non saperne abbastanza.
E poi le piante, ovviamente tropicali e lussureggianti, che sembrano essere sempre nel posto giusto e crescere alla giusta altezza, con la giusta resa estetica, come se tutti quei calcoli fatti per tirare su una capitale a tavolino includessero anche l’ultimo dei banani che si fa largo tra due palazzi.
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L’apice dell’esperienza estetica è il Palazzo del Congresso, lo stesso che fece il giro delle tv mondiali quando venne assediato, l’8 gennaio 2023, dai sostenitori dell’ex presidente Bolsonaro dopo la sua sconfitta alle elezioni.
È semplicemente il palazzo più ipnotico che abbia mai visto, capace di lasciare a bocca aperta chiunque. Dopo essere rimasto in contemplazione a lungo, e dopo avergli scattato un centinaio di foto, apparentemente tutte uguali, il giorno dopo sono tornato, come se non potessi farne a meno, come se ogni nuova fotografia mi rivelasse qualcosa in più di un edificio la cui bellezza evidente sembra inevitabilmente portare con sé un mistero.
© R. Scarcella
Lì ci si arriva dopo un lunghissimo peregrinare tra i palazzi che fanno di Brasilia un luogo unico, a cominciare dal quartiere generale dell’esercito passando per il memoriale dedicato a Kubitschek, fino alla Cattedrale, le cui forme ardite sono amplificate dall’enorme vuoto intorno. Un effetto voluto che non viene colmato dai carretti e dai tavolini dei venditori di cibo di strada e souvenir-paccottiglia, semmai ingigantito per contrasto. Non è da meno il museo nazionale, con le forme esasperatamente arrotondate, che pare un pezzo della Discovery One di 2001: Odissea nello spazio (e, anche se non ho trovato le prove, sono certo che sia Kubrick che George Lucas per Star Wars si siano ispirati in qualche modo a Niemeyer).
A metà dell’Eixo Monumental c’è invece lo scheletro della torre della tv, altro orgoglio cittadino, quello sì che mostra il passare del tempo. Poco sotto sventola una bandiera del Brasile lacerata dal vento e scolorita dal sole, che nessuno si è premurato di sostituire: quasi a ricordare che nelle intenzioni di chi la costruì, Brasilia avrebbe dovuto essere una città capace di accogliere gente di ogni angolo del Paese e ogni estrazione sociale trattando tutti allo stesso modo.
© R. Scarcella
E invece, la capitale nata come utopia, tale è rimasta.