Partiamo dal celebre paradosso socratico per provare a scardinare le nostre certezze che non ci fanno vedere lungo e ci precludono l'apprendimento
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
Rimanere sclerotizzati sulle proprie idee e convinzioni, aggiungiamoci con la presunzione di saper sempre una pagina in più del libro, non giova al nostro bagaglio intellettuale (che, per paradigma, è sempre vuoto) e neppure all’impressione che facciamo agli altri… Diamo perciò libero sfogo alla curiosità.
La frase “So di non sapere” attribuita da Platone a Socrate, racchiude in semplici parole il pensiero del filosofo greco e consegna al mondo il celebre paradosso socratico: esprimere il riconoscimento della propria ignoranza è il motore del desiderio della conoscenza.
L’essere consapevoli dell’impossibilità di sapere tutto è alla base della cosiddetta umiltà intellettuale, concetto dibattuto da sempre da filosofi e poeti, ma che in tempi recenti ha stuzzicato l’interesse di psicologi e terapeuti, perché l’affascinante tema spinge a mettere in discussione le certezze dell’uomo, lo invita a cimentarsi nell’arduo compito di superare i pregiudizi, e soprattutto tenta di ricordargli che dagli altri, prima di criticare, dobbiamo provare a imparare.
D’altronde, apprendere qualcosa di nuovo e cercare ogni giorno di migliorarsi, non è forse uno degli scopi principali dell’esistenza umana? La risposta appare scontata, eppure abbiamo (quasi tutti) la cattiva abitudine di sopravvalutare troppo quello che sappiamo, di considerare le nostre convinzioni come l’unica verità assoluta, e finiamo per dare scarsa importanza alle opinioni degli altri. Nelle altrui idee percepiamo, spesso erroneamente, un “attacco” anziché intravedere una possibilità di arricchimento; pensiamo che il nostro punto di vista sia il più corretto a prescindere e sentiamo di essere gli unici depositari dell’inoppugnabile certezza. Forse abbiamo dato troppo peso ai complimenti che ci facevano da piccoli, perché sistematicamente ci autoassegniamo il premio di esperti universali ed etichettiamo qualsiasi obiezione al motto “ma che caspita dice questo?”.
Diventare schiavi di una convinzione e darle il potere assoluto del Sacro Graal ci impedisce di crescere sia a livello umano che sociale. Anzi, altro che crescita. Ci limita. In molte occasioni, è proprio il nostro atteggiamento l’ostacolo più grande per lo sviluppo di una mentalità aperta, perché ci rende vittime di quei modelli di pensiero e quei sistemi di valori a cui da sempre ci siamo fiduciosamente aggrappati, ma che con il trascorrere degli anni si sono cementificati nella loro immutabilità rendendo meno accettabile una realtà diversa dalla nostra.
In psicologia, si definisce “pregiudizio del punto cieco” l’errata convinzione dell’essere umano di sentirsi più obiettivo rispetto alla stragrande maggioranza delle persone, accompagnata da un’elevata sovrastima delle proprie capacità di giudizio; insomma, anche se sovente non ce ne rendiamo conto, crediamo di essere meno prevenuti degli altri e tali assunzioni inconsce influenzano in modo determinante sia il nostro processo decisionale che le relazioni interpersonali.
Un esperimento condotto presso uno degli atenei più antichi del Nord Europa, la Lund University, ha dimostrato che siamo in grado di respingere i nostri argomenti oltre il 60% delle volte quando sono presentati… dagli altri. Non solo quindi tendiamo a rifiutare formulazioni diverse dalle nostre, ma siamo critici verso le nostre stesse idee quando non siamo noi a esprimerle!
Cosa significa concretamente godere di umiltà intellettuale? Lo possiamo definire come un atteggiamento di apertura verso il mondo e la vita. Significa impegnarsi nella ricerca di nuove idee e provare ad approfondirle, soprattutto quando queste contraddicono le nostre. Significa rendersi conto che rivedere una propria opinione non è una forma di debolezza. Significa essere flessibili e impegnarsi ad ascoltare gli altri, concentrandosi più sulla scoperta che sull’altrui status sociale. Significa ricordare il necessario rispetto che devono avere gli “altri” punti di vista, significa saper prendere in giro il proprio intelletto, e significa far scendere dal piedistallo il nostro sopravvalutato ego accettando l’idea di potersi… sbagliare.
Ma occorre aggiungere un’altra caratteristica, forse la più importante: la curiosità, che può aiutarci a rimanere aperti e flessibili perché la volontà di provare cose nuove avvicina a comprendere altre prospettive, e ad accettarle come ugualmente valide anche quando sono radicalmente diverse dalle nostre. In fondo, basterebbe prendere esempio dai bambini che quando vogliono capire meglio qualcosa con interesse chiedono “perché?”. E allora proviamoci! Contrastiamo l’egocentrismo intellettuale, responsabile delle chiusure cognitive, soprattutto quando ci fa credere che sposare idee diverse potrebbe farci divorziare dalle nostre sicurezze. Che poi mica dobbiamo per forza sposarle. Sarebbe già un passo avanti solo iniziare a frequentarle.