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Francesco, il Pontefice della testimonianza

Il professor Fabris: il Papa ha dato alla Chiesa una prospettiva globale, preferendo la pratica alla dottrina e comunicando in modo (fin troppo) spontaneo

La messa del Venerdì Santo della pandemia, uno dei momenti simbolici del pontificato di Francesco
(keystone)
22 aprile 2025
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Papa Francesco «ha cambiato prospettiva nel governo della Chiesa, perché veniva dall’altra parte del mondo, “dalla fine del mondo” come aveva detto appena eletto». Adriano Fabris ci riporta ai primi giorni del pontificato di Jorge Mario Bergoglio, per meglio comprenderne la figura. «Il suo modo di vedere la Chiesa era molto diverso da quello dei predecessori, non eurocentrico, ma con una prospettiva più globale», guardando anche a quelle parti di mondo dove – al contrario dell’Occidente – il cattolicesimo è in crescita.

Professore all’Università di Pisa e direttore dell’Istituto religioni e teologia alla Facoltà di Teologia di Lugano affiliata all’Università della Svizzera italiana, Fabris individua, in aggiunta a questo sguardo non eurocentrico, altre due caratteristiche del pontificato di Francesco. La prima è il rovesciamento delle priorità. «Proprio questo sguardo ha fatto capire che non bisognava mettere in primo piano la dottrina, il dogma, ma incentrare la propria azione e l’annuncio del Vangelo in una dimensione pratica, in una dimensione di azione». Essere cristiani significa innanzitutto agire bene, non conoscere la dottrina. Questo rovesciamento si è tradotto in un «primato delle buone pratiche, della carità, della misericordia, dell’accoglienza rispetto a ritualità e dottrine».

La seconda è uno stile di comunicazione «veritiero, di testimonianza, seguendo un concetto antico che si chiama “parresia”, cioè si dice quello che si fa e si fa quello che si dice». È una comunicazione che si realizzava attraverso i gesti più che con le parole. «Ricorderemo tanti, tanti gesti di Papa Francesco, dalla croce nella deserta Piazza San Pietro nel Venerdì santo della pandemia, al prendere il bambino e metterlo sulla Papamobile e fargli fare il giro di Piazza San Pietro» spiega Fabris.

Una immediatezza comunicativa che ritroviamo anche in alcune gaffe, come la discussa “troppa frociaggine nei seminari”, o alcune dichiarazioni avventate come la bandiera bianca per la guerra in Ucraina. «È l’altra faccia della medaglia: a quanto è capitato di udire da persone che gli erano vicine, Francesco era davvero un Papa che non si poteva tenere, che non si poteva indirizzare» commenta Fabris, ricordando anche come, durante l’ultimo ricovero, si “ribellasse” al parere dei medici. «In questo carattere e in questo stile sono venute fuori espressioni un po’ dirette che potevano poi generare problemi e confusione. Meno male che poi aveva tutto uno staff diplomatico che interveniva e rimetteva le cose a posto».

Le differenze con i predecessori

Netta la differenza rispetto al diretto predecessore. «Papa Benedetto XVI era, dal punto di vista comunicativo, molto più timido, molto più riflessivo, molto più legato a una comunicazione misurata e dottrinale». Ma Francesco si è distinto anche da Giovanni Paolo II che «era anche lui un papa di gesti, ma i suoi gesti avevano più un significato politico, mentre quelli di Francesco sono gesti che richiedono, anche da parte di ogni fedele, una imitazione: sono i gesti dell’ospitalità, dell’accoglienza, della misericordia».

Se guardiamo ai mezzi di comunicazione, Giovanni Paolo II è stato indubbiamente “il Papa della televisione”, Benedetto XVI pur essendo più concentrato sulla dottrina ha aperto il Vaticano ai social media con l’account Twitter @Pontifex. Papa Francesco come sarà ricordato? «Ha avuto una grande attenzione per gli aspetti del giornalismo in tutte le sue varie sfaccettature» risponde Fabris, citando i messaggi per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali e il recente documento ‘Verso una nuova presenza’. «Nei primi anni vediamo in particolare la preoccupazione per un giornalismo di qualità, un giornalismo che sia in grado davvero di dire la verità, un giornalismo capace di verifica, un giornalismo a servizio della persona, un giornalismo degno di credibilità e di fiducia».

Più recentemente, il discorso si è spostato sulle nuove tecnologie. «Negli ultimi 4-5 anni, si è cominciato a riflettere sulla presenza e sulle trasformazioni che le tecnologie, in particolare l’intelligenza artificiale, comportano per l’attività comunicativa in generale e per il giornalismo in particolare». Non solo l’auspicio che l’utilizzo dell’intelligenza artificiale non sostituisca l’attività dell’essere umano. Papa Francesco ha in particolare insistito sul rischio «che le varie immagini della realtà che l’intelligenza artificiale è in grado di produrre e di diffondere non dovevano sostituire quella che è la presenza fisica propria dell’essere umano e delle relazioni umane».

Con Francesco «la Chiesa Cattolica è stata molto presente» sul tema dell’uso etico dell’intelligenza artificiale, con iniziative come il documento promosso da Monsignor Paglia del Pontificio consiglio per la vita, sottoscritto anche da diverse aziende tecnologiche.

L’eredità al futuro pontefice

Quale Chiesa lascia Francesco al suo successore? «Lascia una Chiesa che lui ha voluto indirizzare e orientare soprattutto in una direzione, come dicevo, pratica, pragmatica, performativa». La sfida per il prossimo papa sarà diversa: «Quello che forse verrà richiesto più chiaramente al suo successore è la capacità di inculturare di nuovo il cristianesimo e il cattolicesimo in una società sempre più secolarizzata, perché un conto è agire in maniera cristiana, un conto è agire in maniera eticamente positiva, un altro conto è essere consapevoli del perché il cattolico o in generale il cristiano agisce in questa maniera buona».