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Il male di vivere dei migranti

In meno di un mese due le morti tragiche tra chi alloggia nel Centro federale di Pasture. La Sem: ‘Protocolli e accordi per intercettare il malessere’

In sintesi:
  • Fra il 30 e il 40 per cento soffre di disturbi psichici
  • Nella cura da superare ci sono barriere linguistiche e culturali
Diversi gli studi che evidenziano l’esistenza di problemi e barriere
(Ti-Press)
26 aprile 2025
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Due morti tragiche in meno di un mese. Per due volte le esistenze di altrettanti richiedenti l’asilo si sono spezzate, all’improvviso. Prima Aziz, 14 anni, originario dell’Algeria: è stato trovato senza vita sul greto del Riale Raggio, a Balerna, a pochi metri dal Centro federale d’asilo di Pasture la sera di lunedì 31 marzo. E ancora non è chiaro cosa sia accaduto. Poi, un paio di settimane più tardi, martedì scorso, un giovane sui 20 anni giunto qui, da quanto abbiamo potuto appurare, dal Guatemala, ha deciso che la sua ultima sosta sarebbe stata Chiasso. In pieno pomeriggio è salito sul parapetto del cavalcavia sopra via Favre, in centro città, e si è lasciato cadere sulla strada. Soccorso dai sanitari e in gravissime condizioni è sopravvissuto alcune ore, sino alla mattina successiva. Resta sospeso un interrogativo: perché? Ciò che si è saputo è che il suo male di vivere aveva radici profonde e non era sfuggito ai Servizi. Per testimoniare "piena solidarietà" alle persone dei Centri federali di Chiasso e Balerna il Collettivo R-esistiamo e Soa Molino domenica 4 maggio alle 14 organizzeranno un presidio "solidale e antirazzista" davanti alla struttura di via Motta a Chiasso.

Fino al 40 per cento soffre di disturbi

In Ticino e in Svizzera, del resto, non è la prima volta che accade. La mente corre ad Arash, il 20enne afghano suicida al Centro di Cadro, o ad altre morti come la sua. Nel 2023 a Ginevra in poco più di un mese si contarono due casi, e uno di loro era un 18enne che doveva essere rinviato in Grecia. In un rapporto allestito nel settembre del 2020 su mandato dell’Ufficio federale della salute pubblica da Zentrum Überleben di Berlino, realtà vicina alle vittime di violenza, ai rifugiati e ai migranti, emerge l’evidenza portata alla luce da studi internazionali: dal 30 al 40 per cento dei rifugiati e dei richiedenti l’asilo soffrono di disturbi post-traumatici e altri disturbi psichici. Tutti malesseri, annotano gli autori del documento, che vanno intercettati precocemente. Lo stesso Ufficio federale e la Sem, la Segreteria di Stato della migrazione, si legge ancora nel documento, confidano di sviluppare una presa a carico iniziale utile a far emergere queste problematiche. Una sfida importante chiamata a superare barriere linguistiche e culturali. E che prefigura la necessità di far capo a personale formato. L’attenzione non manca, anche da parte di enti e associazioni che, nelle strutture d’oltre Gottardo (non ancora in Ticino), hanno proposto una serie di progetti mirati a leggere tra le pieghe del disagio.

‘Nessun disagio generalizzato’

Certo due morti come quelle di Aziz e del secondo giovane interrogano la comunità locale e le istituzioni. E quindi viene da domandarsi se negli ultimi tempi al Centro federale d’asilo di Pasture o comunque all’interno delle strutture federali della regione si sia avvertito un malessere crescente tra gli ospiti. «Non è stato osservato nessun disagio generalizzato fra gli utenti degli alloggi della Regione – ci rispondono dalla Sem –. I casi di persone con bisogni particolari vengono identificati dal personale dei Centri, nello specifico dagli assistenti di prevenzione dei conflitti, dagli educatori sociali e dal personale infermieristico e, laddove necessario, vengono indirizzati agli enti di supporto esterni presenti sul territorio. Ovvero i Servizi psico-sociali (Sps) e i Servizi medico-psicologici (Smp) dell’Osc, la Clinica psichiatrica di Mendrisio, i medici generici e gli specialisti. I richiedenti l’asilo sono, inoltre, sostenuti da tre assistenti spirituali, regolarmente presenti negli alloggi». Non vi sono, di fatto, dati numerici che restituiscano il quadro della situazione. Sussistono, però, ci confermano ancora dalla Segreteria di Stato della migrazione, delle convenzioni stipulate con Sps e Smp. Accordi, si precisa, che «prevedono una presenza settimanale di psichiatri, psichiatri infantili e psicologi direttamente all’interno del Centro di Pasture. Altri casi sono seguiti direttamente presso le sedi dei due Servizi a Chiasso e Mendrisio». È stato stabilito, inoltre, «un protocollo di intervento basato su priorità (caso ordinario, urgenza, emergenza), così da poter sfruttare al meglio le risorse disponibili. Tutti i richiedenti l’asilo – ci riferiscono – sono affiliati a una cassa malati con il modello ‘medico di famiglia’, ciò significa che non è la Sem a decidere di trasferire il caso della persona al medico specialista, bensì il medico stesso. La somministrazione di terapie è invece garantita all’interno della struttura tramite il personale infermieristico presente, che ne verifica quotidianamente la regolare assunzione».

Volendo allargare lo sguardo, qual è oggi la situazione nei Centri federali in Svizzera? «Dopo l’arrivo in un Centro federale d’asilo ha luogo una prima consultazione medica volontaria, che include anche domande relative alla salute psichica – ci spiega la Segreteria di Stato –. Circa l’80 per cento delle persone richiedenti l’asilo usufruisce di questa consultazione. I richiedenti l’asilo infatti hanno accesso al sistema sanitario, compresi i servizi di salute mentale». Per assicurare la tempestività dell’intervento, come detto, negli ultimi anni si fa capo a collaborazioni con diverse istituzioni e professionisti in ambito psichiatrico e psicologico. «Questi accordi – ribadisce la Sem – permettono, ad esempio, di offrire consultazioni direttamente nei Centri federali di asilo, di organizzare discussioni di casi con il team infermieristico e di proporre formazioni per il personale dei Centri. La Sem garantisce che tutti i richiedenti l’asilo abbiano accesso all’assistenza medica e che i loro problemi psichici e fisici vengano trattati. Come per la popolazione residente, i traumi sono spesso latenti e talvolta si manifestano solo settimane o addirittura mesi dopo l’arrivo. Inoltre, i problemi psichici possono essere stigmatizzati e non vengono comunicati apertamente agli operatori sanitari».

Una studentessa Supsi accende i riflettori

Giusto un anno fa lo stesso Dipartimento federale di giustizia e polizia in una nota aveva confermato di essere orientato a esaminare e sperimentare nuove misure, tra cui “interventi psicoeducativi a bassa soglia per aiutare i richiedenti a meglio comprendere e affrontare i loro disturbi psichici”. Una realtà che va ancora indagata e capita a fondo come fa capire anche Narghis Firouz Kouhi, studentessa del Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale della Supsi, nel suo lavoro di tesi ‘Barriere Invisibili. Favorire l’accesso alla salute mentale per richiedenti asilo e rifugiati’ del luglio scorso. L’obiettivo della ricerca? Identificare delle strategie utili a favorire l’accessibilità dei servizi di salute mentale. “In Svizzera – riporta la ricerca –, i dati dell’Osservatorio dei migranti dell’ufficio federale della sanità pubblica risalenti al 2010 mostrano che lo stato di salute della popolazione migrante è sovente peggiore rispetto alla popolazione autoctona. Riuscire a garantire pari opportunità alla popolazione migrante in termini di salute rimane un obiettivo significativo”. E in questo contesto pure “a livello di salute mentale, la popolazione migrante è in certi termini svantaggiata. Uno studio concernente i richiedenti d’asilo – rimarca la studentessa – ha rilevato che in Svizzera queste persone sono spesso sotto diagnosticate e inappropriatamente seguite, ciò viene parzialmente attribuito a delle difficoltà legate alla comunicazione”. In effetti, chiarisce ancora, migranti e rifugiati risultano essere esposti “a un rischio maggiore rispetto alla popolazione generale di manifestare disturbi psichiatrici come quadri depressivi, somatizzazioni e disturbo da stress post-traumatico”. Problematiche certificate: “Si stima che circa 30’000 dei rifugiati (dati risalenti al 2019) siano affetti almeno da un disturbo mentale comune”. Entrando dentro i Centri federali d’asilo, la ricerca evidenzia come questo contesto crei “uno stato di grande incertezza per le persone”.

Un presidio di solidarietà

Alzare la voce e dire basta a questo sistema che per il Collettivo R-esistiamo e Soa Molino può essere definito solo "crudele". In una nota si reagisce a quanto accaduto denunciando uno stato di fatto che i due movimenti non accettano. "Sin dall’inizio – si motiva – abbiamo detto che grandi centri, come quelli federali, non vanno bene perché persone fragilizzate dalle situazioni che hanno subito vengono messe insieme in un contesto ostile con altre persone che già stanno male. Si cominci, perlomeno, con l’aprire i cancelli lasciando libere le persone di circolare e socializzare; è essenziale dare a questi centri una dimensione più umana e familiare. Ci si attrezzi per fornire un accompagnamento e un supporto psicologico concretamente effettivo da subito". Insomma, "soprattutto adesso dopo due tragiche morti così ravvicinate – si rimarca –, si permetta alle persone rimaste in vita di poter accedere a quel supporto minimo che è di solito garantito in queste situazioni. È importante poter capire e poterne parlare. È fondamentale offrire dei momenti di parola collettivi all’interno del
Centro federale d'asilo. Esiste un ‘care team Ticino’ che è a disposizione per situazioni in cui è necessario ‘un supporto a vittime di un evento traumatico’. Usiamo tutti i mezzi a disposizione che abbiamo per essere di consolazione e conforto. Noi – si conclude – non smetteremo mai di chiedere a gran voce questi cambiamenti del sistema d'asilo e continueremo a lottare al fianco di tutte le persone migranti".