laR+ IL COMMENTO

I funerali di Francesco e quella foto iconica

Religiosità e diplomazia si sono mescolate alle esequie del Papa. Il preludio a una più onesta mediazione sulla guerra in Ucraina? È tutto da vedere

In sintesi:
  • La cerimonia funebre e la sepoltura in Santa Maria Maggiore hanno regalato numerose, simboliche istantanee
  • L’eventuale riequilibrio politico sarebbe un ‘miracolo postumo’ di Bergoglio, instancabile promotore di pace
Santa sedia
(Keystone)
28 aprile 2025
|

A ognuno, almeno per qualche ora, il ricordo dell’immagine simbolo degli addii a Francesco. Non un funerale solo. Ma diversi. Quello della macchia rossa dei porporati, il nero dei laici potenti, il chiaro dei fedeli accalcati nella piazza, quelli cangianti del ‘popolo’ raccolto lungo i sei chilometri verso Santa Maria Maggiore, e ancora i colori degli ‘ultimi’ (i poveri, e anche i trans) selezionati per attendere la bara all’entrata della Basilica, ultima dimora scelta da Bergoglio. Ed è al suo interno che si può cogliere un’ultima simbolica istantanea. Perché lo stesso pontefice argentino aveva chiesto di essere sepolto in quella chiesa con altri otto pontefici del passato, fra cui alcuni non proprio ‘stinchi di santo’: per esempio Clemente VIII Aldobrandini, responsabile anche della morte di Giordano Bruno (martire della libertà di pensiero, arso vivo a Campo de’ Fiori); o Pio V Ghislieri, inquisitore e gran persecutore degli ebrei, il primo a decidere di rinchiuderli nei ghetti. “Chi sono io per giudicare”, si sarà di nuovo chiesto Francesco pur di rimanere vicino alla venerata icona bizantina della vergine ‘Salus populi romani’.

Dove la sua bara è arrivata mentre cominciava a fare il giro del mondo l’istantanea iconica del suo lascito politico più importante: Trump e Zelensky su due sedie sotto la cupola di San Pietro, vicini come in una laica confessione, a discutere della peggiore carneficina dalla fine del secondo conflitto mondiale. Guerra europea, nelle ultime settimane un crescendo di bombe russe soprattutto su bersagli civili. Sotto le volte di San Pietro, un bisbiglio serrato, durato soltanto una quindicina di minuti. Si spera sufficienti a cancellare la vergognosa prepotenza trumpiana di fine febbraio nello Studio Ovale di Washington. E, chissà, forse a portare il presidente della superpotenza su un binario di negoziatore più equilibrato, e non totalmente putiniano.

Foto che “fa epoca”, titola la stampa mondiale. Tutto da vedere se sia davvero preludio a una più onesta mediazione. E non, come impostata finora, ‘una pace cartaginese’ (tipo quella vendicativa post Versailles, contro la Germania sconfitta, alla fine del primo conflitto mondiale). Una pace in cui Kiev (oltre alle migliaia di morti) sembra destinata a subire anche il pagamento per danni di guerra, pur essendo l’aggredita; una pace il cui prezzo da pagare è la perdita del quarto economicamente più ricco del suo territorio; una pace che l’America di Trump è interessata a raggiungere, ma non a garantire per il futuro, attraverso l’acquisizione di ‘terre rare’ ucraine, scrigno di materiali strategici, per l’equivalente di 360 miliardi che Washington rivendica.

Per questa parte della “guerra mondiale a pezzi”, da Francesco (‘profeticamente’, direbbero in molti) definita una decina di anni fa, cioè per la tragedia ucraina insieme a quella medio-orientale, questo eventuale riequilibrio politico già sarebbe un ‘miracolo postumo’. Nella storia non vi è mai stata quella pace giusta invocata dai tempi di Isaia. “Vae victis”, guai ai vinti, proclamava Brenno, capo dei Galli, dopo la conquista di Roma. Era il 390 a.C. Ma oggi dovrebbe risultare insopportabile l’alleanza di due fascismi impegnati a imporre una pace iniqua nel cuore dell’Europa.