laR+ IL COMMENTO

Rsi, la miglior difesa è l’attacco? No: umiltà, coraggio e pragmatismo

Uno sguardo critico sulle scelte e sull’eccessiva ‘equidistanza’ della radiotelevisione implica il più netto riconoscimento della sua importanza

In sintesi:
  • Il meccanismo perequativo del servizio pubblico è l’unico vantaggioso per il Ticino
  • Criticare la Rsi non vuol dire essere contrari alla sua esistenza
  • La campagna che ci porta al voto sull’iniziativa ‘200 franchi bastano!’ è entrata nel vivo
Per Timbal il ‘too big to change’ è solo uno ‘stereotipo’
(Ti-Press)
20 giugno 2025
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A spanne, sarebbe di circa 100 milioni di franchi il “costo” a carico della Svizzera italiana qualora venisse approvata in votazione popolare l’anno prossimo l’iniziativa ‘200 franchi bastano!’. Argomento che di per sé dovrebbe essere sufficiente per minimizzare le possibilità di riuscita, in Ticino e Moesano, della proposta che mira a quasi dimezzare le entrate derivanti dalla riscossione del canone radiotelevisivo.

Allo stato attuale, nella regione italofona della Confederazione vengono incassati 50 milioni di tasse ‘Serafe’; mentre dai proventi raccolti nella Svizzera tedesca giungono nella casse della Rsi altri 235 milioni. Forse è bene ribadirlo: il meccanismo perequativo del servizio pubblico è l’unico in questo momento a risultare vantaggioso per il Ticino. È vero che l’iniziativa per i 200 franchi chiede che la chiave di riparto venga mantenuta, ma il valore assoluto a favore della Svizzera italiana sarebbe destinato a calare notevolmente. In cifre, dunque, si tratterebbe di “risparmiare” una ventina di milioni (pagando meno il canone) per perderne, appunto, un centinaio. Soldi che rappresentano – ancora prima di diventare offerta culturale-sportiva-informativa-d’intrattenimento – posti di lavoro, indotto e substrato fiscale. Rinunciare a una tale ridistribuzione nord-sud appare, in effetti, un esercizio poco furbo.

Annullandosi a vicenda gli estremi (strenui difensori versus odiatori seriali), la partita della Ssr sembra giocarsi in mezzo al campo, soprattutto tra chi ha una visione critica sull’operato del servizio pubblico. Ben venga dunque un chiarimento: criticare la Rsi non vuol dire essere contrario alla sua esistenza (a questo proposito si potrebbe alludere, a mo’ di paragone, a una sorta di semplicistico assioma – da non imitare – sbandierato in un altro ambito da un noto membro del Consiglio regionale della Corsi). In realtà uno sguardo critico sulle scelte e sull’eccessiva “equidistanza” della radiotelevisione implica il più netto riconoscimento della sua importanza. Ecco perché non si può fare a meno di evidenziare certi scivoloni, lacune o contraddizioni. Una di queste, infatti, emerge dalle recenti dichiarazioni del direttore Mario Timbal, quando afferma che il servizio pubblico sarebbe pronto “a mostrare che tanti stereotipi sulla Rsi, quel gigante che non sa cambiare, ridurre o innovare, devono essere rivisti”. È questo il punto: definendo “stereotipo” (ovvero, un’opinione infondata e precostituita) l’appunto mosso da molte persone che ritengono l’emittente pubblica un attore imprescindibile ma piuttosto supponente, aggrovigliato e statico, Timbal rischia di confermare l’impressione parecchio diffusa di un’incapacità aziendale a mettersi davvero in discussione con umiltà e coraggio. Non proprio la miglior carta da giocare per provare a confutare l’asserito mito del ‘too big to change’.

Fatto sta che mentre i media privati continuano a soffrire le conseguenze del drastico calo dei ricavi pubblicitari – di questi giorni la notizia della chiusura a fine anno in tutte le regioni linguistiche del cartaceo gratuito ‘20 minuti’ –, la campagna che ci porta al voto sull’iniziativa ‘200 franchi bastano!’ è entrata nel vivo. Ecco, quindi, un consiglio (non richiesto): in prospettiva, più che farne una questione ideologica, sarebbe opportuno non tralasciare l’aspetto pragmatico. Certo, in parallelo occorrerebbe che Comano fosse in grado di aprire una seria riflessione su come impiegare al meglio le risorse a disposizione per assolvere al suo mandato; e che lo facesse senza incorrere in alcuna presunzione.