Accrocchio e dintorni: in molti si sono soffermati sulla portata simbolica della vicenda, quando l’occasione (mancata) invece era ben concreta
Ci sono due film leggeri che i veri romantici dovrebbero guardare: ‘50 volte il primo bacio’ (Usa, 2004) e ‘Il futuro in un bacio’ (Spagna, 2023). In quello americano, Lucy (Drew Barrymore) soffre di una grave malattia cerebrale a causa di un incidente: ogni notte, mentre dorme, dimentica tutto ciò che è avvenuto durante la giornata (si chiama sindrome amnesica anterograda). L’ultimo ricordo “fisso” che ha è del giorno precedente all’incidente: il suo compleanno. Momento che la sua famiglia le fa rivivere quotidianamente. Così l’uomo che s’innamora di lei, Henry (Adam Sandler), prova ogni giorno a conquistarla come se fosse la prima volta. Nel film spagnolo invece, Javier, il protagonista, a 16 anni scopre di possedere un “dono”: a ogni primo bacio riesce a vedere tutto quello che accadrà nelle sue relazioni.
Romantico o meno, il presidente del governo Norman Gobbi sembra convinto di essere Adam Sandler. E che tutti gli altri siano nelle condizioni di Lucy, anche se quello afflitto da una sindrome amnesica parrebbe essere lui. Così, nei giorni precedenti alla riunione straordinaria del parlamento tenutasi a Lugano, interpellato da laRegione in merito all’annunciata assenza di Claudio Zali – unico consigliere di Stato mancante alla seduta e vero “fattore scatenante” del patetico accrocchio, stando alle risposte governative –, il direttore delle Istituzioni assicurava che “ogni volta che un membro del Consiglio di Stato parla vuol dire che c’è una posizione consolidata all’interno dell’Esecutivo”. Già, come all’apertura dell’anno giudiziario… Ieri, invece, è riuscito ad affermare che la decisione presa in Val Bedretto lo scorso 9 luglio non riguardava affatto la governabilità: “La motivazione del collega Claudio a dedicarsi alla magistratura ha convinto il governo, è stata una decisione consensuale”. Tesi confermata (senza arrossire) da Christian Vitta e Marina Carobbio. A poco è servita l’adesione di 45 deputati alla proposta Mps di sospensione della seduta per mettere al voto una risoluzione di sfiducia: l’Ufficio presidenziale del Gran Consiglio ha fatto quadrato intorno al governo e tutto è rimasto come prima.
Nulla di sorprendente: nonostante ciò che va suggerendo una vignetta pubblicata da questo giornale, nessuno ha mai avuto il privilegio di baciarsi con un consigliere di Stato, né di scoprire il futuro. Tuttavia, a furia di disincanti, un certo “dono” buona parte della cittadinanza l’ha comunque sviluppato: non appena viene aperto un dibattito più o meno serio sul futuro del Paese, o un’inchiesta riguardante il potere economico-politico-ecclesiastico cantonale, si sa come va a finire. Male. Così è stato pure con la tragicomica storia dell’accrocchio.
Fa comunque specie che in diversi si siano soffermati sulla “portata simbolica” della vicenda, quando l’occasione (mancata) invece era ben concreta: quella di mettere fine a questa ingloriosa stagione della politica ticinese. Per farlo, però, occorreva un certo coraggio: quello di opporsi al ricatto non tanto velato dei due leghisti di bloccare la legislatura, se non avessero ottenuto il “contentino”. Con i numeri a favore (3 su 5 in governo, 45 su 73 ieri in parlamento) bisognava, ci si permetta, saper essere più leghisti dei leghisti. Almeno per un attimo. Ma è proprio nei momenti cruciali che compare il miglior paraculismo, mascherato da amnesia: “Ma no, ma dai, ma perché scomodarsi così tanto. Se chi doveva essere piazzato è piazzato, se i nostri voti ce li abbiamo, se… Che succede? Dove mi trovo? Perché sono qua? Ah, già: è il giorno della mia elezione, che gioia! Farò la differenza”.