laR+ IL COMMENTO

Genocidio in diretta

Per quanto sta succedendo a Gaza, si è aperto come mai prima d’ora un baratro tra indignazione popolare da una parte e apatia dei politici dall’altra

In sintesi:
  • Si gonfia feroce e tronfio l’ebraismo politico, quello che il teologo Vito Mancuso associa a razzismo e nazionalismo
  • A farne le spese l'ebraismo spirituale, che pratica la solidarietà e insegna l'amore per il prossimo
  • Ma quanti da noi e in Occidente cedono all’ignavia o al peso delle lobby? C'è chi per questo si sente un po' più spagnolo e un po' meno svizzero.
(Keystone)
17 settembre 2025
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Hanno estratto decine di bimbi smembrati, corpi bruciati di ragazze e donne dalle macerie dello stabile distrutto dai bombardamenti nel quartiere di Al-Tuffah, a Gaza City. Era una base, l’ennesima, di Hamas – recita stanco il noto ritornello di Tel Aviv. Come Rafah e Beit Hanoun, città millenarie sorte prima di Israele, anche questa sarà ridotta in polvere. “Gaza brucia” esclama spavaldo il ministro della Difesa Israel Katz, quasi fosse un novello Nerone che scruta compiaciuto lo scempio di Roma. Quella maggioranza della popolazione di Israele che considera che “non vi sono innocenti a Gaza” potrà forse godersi lo spettacolo corredato dai fuochi d’artificio: la notte si illumina di centinaia di razzi e bombe. Gaza è lì, a due passi.

Lo aveva preannunciato il generale Haliva: lo sterminio come monito ed eredità per le future generazioni di palestinesi. Dopo il rapporto di Amnesty avvalorato da innumerevoli storici, esperti, e intellettuali come David Grossman, ora anche l’Onu conferma: è genocidio. D’altronde bastava leggere la convenzione Onu del ’48 e le dichiarazioni dei responsabili del governo Netanyahu per averne conferma. “Gaza sarà ridotta a un’isola deserta” aveva minacciato Ben-Gvir. Terrorizzare, cacciare a suon di bombe e stragi i civili nel sud della Striscia per poi deportarli, forse in Sud Sudan. Come non pensare, paradosso della Storia a cui fa dolorosamente riferimento l’intellettuale ebreo Edgar Morin, al piano approntato nel 1938 da Hitler per il trasferimento forzato degli ebrei in Africa, verosimilmente in Madagascar?

Il governo ricorre con sempre maggior frequenza a espliciti richiami storico-religiosi: Netanyahu paragona i palestinesi agli Amaleciti, annientati da Saul, il primo re di Israele. Si pesca senza remore nel messianismo biblico, “cherem” (sterminio) viene pronunciata ad alta voce, così come il nome di Giosuè, personaggio biblico che a Gerico fece passare a fil di spada tutti: bimbi, donne, anziani, persino animali. Shalom Auslander, ebreo ortodosso americano, aveva rinunciato pubblicamente alla sua religione in un editoriale del New York Times: “Se il mio Dio fosse mortale, sarebbe trascinato all’Aia”.

Si gonfia feroce e tronfio l’ebraismo politico, quello che il teologo Vito Mancuso associa a razzismo e nazionalismo, a scapito dell’ebraismo spirituale, che pratica la solidarietà e insegna l’amore per il prossimo. Compassione e umanesimo sopravvivono nella diaspora, non più in Israele, cancellati dal sionismo religioso. Divampano negazionismo e propaganda. Tutta colpa dei palestinesi e dei loro follower antisemiti (sic), noi vogliamo trattare, mente Netanyahu: i negoziatori palestinesi sono sistematicamente obiettivo di assassinii mirati.

Il genocidio ha i suoi carnefici e le sue vittime, ma anche i suoi spettatori, cioè noi. Si è aperto come mai prima d’ora un baratro tra indignazione popolare da una parte, apatia dei politici dall’altra. Tra i ranghi borghesi in Consiglio nazionale nel voto sulle sanzioni a Israele, una mosca bianca, Giorgio Fonio (il Centro) a tenere alta, accanto alla sinistra, la bandiera della nostra martoriata morale. Ma quanti altri da noi e in Occidente cedono all’ignavia o al peso delle lobby? Sta di fatto che non sono in pochi oggi nell’opinione pubblica, di fronte al primo genocidio live in mondovisione della Storia, a provare rabbia e vergogna, a sentirsi un po’ più spagnoli e un po’ meno svizzeri.