C’è la decisione di diversi Paesi europei di riconoscere lo Stato di Palestina. ‘Scelta intempestiva’: ha detto Cassis, inchiodando la Confederazione
Si racconta che, alla domanda se non lo preoccupassero le reazioni internazionali allo sterminio degli ebrei, Hitler rispose: “Ma perché mai? Forse che il mondo si ricorda ancora della strage degli armeni?”. Certo, nel vortice della grande Storia ogni pagina fa… storia a sé. Ma qualcosa del genere può aver pensato anche Netanyahu: un rapido oblio sulla sorte da infliggere ai palestinesi di Gaza e della Cisgiordania. I quali, ha nuovamente tuonato il premier israeliano, non avranno mai una patria. Così sfidando quella parte di mondo che – dopo decenni di complice silenzio – ha ripescato il mantra dei due Stati come soluzione politica finale alla tragedia israelo-palestinese.
Per cancellare radicalmente una simile prospettiva, l’attuale governo israeliano di estrema destra (coloniale, annessionista, condizionato da estremisti religiosi) procede accelerando i tempi: nuovi enormi insediamenti nella parte araba di Gerusalemme, mano libera a coloni sempre più armati e sempre più aggressivi in Cisgiordania, annessioni di villaggi arabi che una volta si aveva quantomeno il pudore di definire “illegali” e allargamento dei confini e dei conflitti regionali (dal Golan ex siriano al sud del Libano). A questa strategia lo Stato ebraico sa di pagare un alto tributo politico. In particolare, ‘Bibi’ getta a mare i suoi rapporti con i Paesi arabi sunniti, guidati dall’Arabia Saudita, con cui si erano raggiunti o stavano per essere firmati i cosiddetti ‘Accordi di Abramo’ per la normalizzazione dei rapporti diplomatici, impossibili da sottoscrivere nel momento in cui le opinioni pubbliche islamico-arabe assistono alla ferocia e all’accanimento militare-repressivo da parte israeliana. Questo mentre cresce l’isolamento dello Stato ebraico anche in Occidente, dove per la prima volta la Commissione Ue invita i suoi membri a interrompere i rapporti economico-militari con Israele: una “linea rossa” che gli europei si sono finora rifiutati di superare, come se per lo Stato di Israele esistesse un diritto di impunità, negato per esempio alla Russia di Putin per la sua aggressione all’Ucraina. Eloquente doppio-standard.
Infine, sullo stesso fronte occidentale c’è la decisione di diversi Paesi europei di riconoscere lo Stato di Palestina, come ha già fatto la grande maggioranza delle nazioni presenti all’Onu. Che senso può avere il riconoscimento formale di uno “Stato che non esiste”? E che secondo Netanyahu non dovrà o potrà mai esistere? Ha invece un significato altamente etico, se si vuole essere coerenti col principio di una “casa nazionale” da garantire anche ai palestinesi, simile al principio della ‘National Home’ promessa agli ebrei con la dichiarazione Balfour del 1917. Oggi decisione intempestiva, che dovrebbe essere presa soltanto al termine di un processo negoziale, ha però detto Ignazio Cassis. Posizione pilatesca, che inchioda la Confederazione a una neutralità e soprattutto a una inerzia comoda e immorale. Così come Berna tace sulla minaccia israeliana di bloccare la “flottiglia” di civili che fa rotta su Gaza per portarvi aiuti e solidarietà, e di bloccare gli equipaggi pacifisti trattandoli alla stregua di terroristi. Ma in base a quale diritto Israele impone le regole internazionali per un Paese che occupa in maniera illegale e distrugge spietatamente?