laR+ IL COMMENTO

L’Occidente, l’Altro e il convitato di pietra

La doppia morale non è solo svizzera: l’antisemitismo è percepito come un male storico, da condannare; l’islamofobia come un ‘problema contemporaneo’

In sintesi:
  • L’islamofobia scivola inosservata nei discorsi politici, nei media, nelle leggi
  • La lente occidentale non è neutrale: decide chi merita tutela e chi può essere ignorato
(Keystone)
13 settembre 2025
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L’antisemitismo oggi è un tabù indiscutibile. La memoria storica e le istituzioni hanno costruito una barriera netta: la parola “antisemita” è diventata uno stigma sociale. Ed è giusto così. Ma basta sostituire “ebreo” con “musulmano” e il quadro cambia radicalmente. L’islamofobia scivola inosservata nei discorsi politici, nei media, nelle leggi. Spesso presentata come civismo o difesa dei valori occidentali. In Svizzera esempi non mancano, e la politica non fa eccezione: pregiudizi che sarebbero ormai impensabili contro altre minoranze vengono legittimati.

La doppia morale non è solo svizzera: è occidentale, strutturale. L’antisemitismo è percepito come un male storico, da condannare; l’islamofobia come un “problema contemporaneo”, da gestire e regolamentare, perfino normalizzare. Si costruisce una gerarchia morale: chi merita protezione e chi ne è escluso. Gli errori del passato si possono ripetere. Basta cambiare soggetto. L’estrema destra lo ha capito bene. Ha smesso di parlare apertamente contro gli ebrei e ha trovato un nuovo pilastro mediatico: la lotta contro l’immigrazione musulmana. Continua a fare della paura del diverso un collante, ma è un razzismo spendibile al momento. Il binomio musulmano-terrorista rafforza la narrazione. Nel discorso pubblico occidentale, musulmano è troppo spesso associato a violenza e minaccia. Il terrorismo non è più un fenomeno da indagare: è un’etichetta. Serve a giustificare sospetto, esclusione, violenza. I termini “terrorista” e “antisemita” sono ormai fragili nella loro definizione e per questo sempre più pericolosi: la radicalizzazione in questo periodo storico è ben lungi dall’interessare un solo gruppo. Una narrazione che influenza la percezione dei conflitti internazionali. Gaza, Cisgiordania: il popolo palestinese – arabo e musulmano – diventa, senza esclusione, sospettato, colpevole, vittima sacrificabile. Agli occhi di molti, chi si indigna di fronte a ciò che sta accadendo viene bollato come antisemita, quando non terrorista. La lente occidentale non è neutrale: decide chi merita tutela e chi può essere ignorato. E questo da molto prima degli sconvolgenti e atroci fatti del 7 ottobre 2023.

E qui entra il convitato di pietra: il colonialismo. Non solo come evento storico, ma come struttura di potere che ancora plasma gerarchie culturali, economiche e politiche. I musulmani, tra i molti, continuano a essere rappresentati come soggetti da controllare, educare, colonizzare simbolicamente o materialmente. Le parole diventano strumenti di dominio, e il nostro rapporto con le istituzioni sovranazionali lo dimostra chiaramente: la giustizia va bene solo se applicata agli altri. Il problema è strutturale. In una società che riduce concetti forti come antisemitismo e terrorismo a etichette, utili solo a legittimare la paura dell’Altro, ci sarà sempre un capro espiatorio. Oggi è l’islamofobia che scivola inosservata nella politica e nel discorso pubblico. Domani? Nel frattempo, il colonialismo, con una mano continua a organizzare gerarchie potenti e a permettere i più inimmaginabili soprusi, mentre con l’altra si batte il petto chiedendo venia per ciò che ha compiuto – e chi per mestiere svela le efferatezze del passato è ridotto a giullare.

Decostruire questa lente è indispensabile. Fino a quando l’Altro non verrà considerato degno di rispetto, la nostra società continuerà a barcollare, inflaccidita, tra il rimorso per il passato e la complicità nel presente, esposta ai venti di quella che molti chiamerebbero giusta rabbia.