Presidio pacifista davanti ai cancelli dell'azienda di proprietà del Consiglio federale: ‘Il governo svizzero non può rendersi complice di un genocidio’
Il Consiglio federale deve smetterla di essere complice indiretto del genocidio nella Striscia di Gaza e il primo passo da compiere in questo senso è rappresentato da un drastico taglio dei rapporti tra Ruag (fabbrica di armi di proprietà dell’Esecutivo federale) e l’azienda israeliana Elbit Systems, tra i principali fornitori di armamenti all’esercito di Tel Aviv. Lo ha chiesto a gran voce il presidio pacifista organizzato mercoledì pomeriggio davanti ai cancelli della Ruag di Lodrino. Presidio non molto numeroso (una trentina di persone), ma più che sufficiente per far sentire la voce di una larga parte della società civile ticinese. Nello specifico, la protesta si è rivolta contro la collaborazione con un’azienda che ha pesantemente foraggiato l’Idf di armamenti utilizzati per la distruzione di Gaza. Lo ha ricordato Lilith Mattei, una delle organizzatrici del presidio: «Dal 2010 la Confederazione ha assegnato contratti per un valore di oltre 600 milioni di franchi a Elbit, tra cui l’acquisto dei famosi sei droni Hermes 900. Droni utilizzati contro la popolazione e, come pubblicizzato sul sito dell’azienda, testati direttamente sul campo di battaglia».
Mattei ha ricordato come, secondo numerosi esperti, i rapporti tra la Confederazione ed Elbit Systems violino il diritto internazionale, in particolare la Convenzione sul genocidio del 1948: «La Svizzera, infatti, ha l’obbligo giuridico di fare quanto in suo potere per prevenire ogni rischio di genocidio. In seguito all’invasione russa dell’Ucraina, la Confederazione ha adottato 18 pacchetti di sanzioni contro Mosca e i primi sono arrivati quattro giorni dopo l’inizio del conflitto. Dopo due anni di massacri a Gaza, la Svizzera non ha adottato nemmeno una sanzione contro Israele, mentre Hamas è stata dichiarata organizzazione terroristica a pochi giorni dal 7 ottobre».
La dimostrazione, secondo gli attivisti, di come il governo svizzero cerchi di nascondere la sua complicità dietro la maschera della neutralità: «Ma oggi siamo qui per dire basta, per cui chiediamo al Consiglio federale l’interruzione immediata di ogni collaborazione tra Ruag ed Elbit Systems, la trasparenza assoluta su qualsiasi contratto in vigore con aziende belliche israeliane, un embargo militare totale nei confronti di Israele e l’imposizione di sanzioni economiche contro Tel Aviv, come già fatto con la Russia».
«Lo scorso 24 giugno – aggiunge Jenna Mattich – ho indirizzato una lettera ad Armasuisse per avere spiegazioni sui contatti tra Ruag ed Elbit. Secondo la legge sulla trasparenza la risposta sarebbe dovuta giungere entro 20 giorni, ma la sto ancora aspettando. Non mi fermerò e sono disposta a rivolgermi ai tribunali competenti, perché in quanto cittadini abbiamo il diritto a una risposta».
Al termine, gli organizzatori della manifestazione hanno cercato di consegnare il testo di un comunicato stampa ai responsabili di Ruag Lodrino, ma si sono ritrovati di fronte a un rifiuto, per cui la missiva è stata appesa al cancello d’entrata dello stabilimento.
Alla manifestazione, come detto, ha preso parte una trentina di persone ed è probabile che l’eco di quanto successo a Lodrino non giunga nemmeno alle orecchie del Consiglio federale. Ciò nonostante, secondo Elia Mattei è importante non lasciarsi prendere dallo sconforto: «A parte il fatto che, probabilmente, almeno a Ignazio Cassis la voce sarà arrivata, non dobbiamo fermarci all’oggi, ma portare avanti la nostra protesta in modo continuativo su tutto il territorio ticinese. La manifestazione del 24 maggio a Bellinzona, che ha radunato 5’000 persone, ha avuto degli effetti: il giorno dopo il Consiglio di Stato ha inoltrato una lettera all’Esecutivo federale per chiedere azioni concrete contro questo genocidio. La missiva è stata ignorata, ma il fatto che il governo cantonale si sia esposto così chiaramente è il risultato delle migliaia di persone scese in piazza».
Sempre più governi, europei e non, stanno assumendo posizioni critiche nei confronti della guerra e di Israele, «ma la Svizzera non si è ancora mossa. Non possiamo sempre essere gli ultimi, già lo eravamo stati nei confronti delle sanzioni contro il Sudafrica dell’apartheid. Sanzioni che, era stato dimostrato, avevano velocizzato la fine del regime di Pretoria. Chiediamo al nostro governo di rispettare gli obblighi derivanti dal diritto internazionale e dalla Convenzione sul genocidio del 1948. La quale all’articolo 1 recita che gli Stati terzi, di fronte a un rischio di genocidio – nel caso di Gaza appurato dalla Corte internazionale di giustizia più di un anno fa – hanno l’obbligo di attivarsi per evitarlo. E ciò implica il divieto di collaborare con l’industria militare dello Stato sotto accusa, per cui, nel caso specifico, anche il semplice fatto di importare armi o tecnologie militari da Elbit Systems viola il diritto internazionale».
Ruag non ha interferito in alcun modo con la manifestazione, ma in giornata, per bocca della portavoce Kirsten Hammerich, ha voluto prendere posizione: «In quanto azienda vicina alla Confederazione, Ruag ha una missione chiara in materia di politica di sicurezza: fornire supporto tecnologico all’esercito svizzero. Per adempiere a questa missione globale, dobbiamo collaborare con imprese che dispongono di uno know-how specifico e che completino al meglio il nostro portafoglio in relazione ai diversi progetti. Per questo motivo intratteniamo varie forme di cooperazione con aziende del settore della sicurezza in Svizzera e all’estero. In questo modo trasferiamo competenze in materia di sicurezza, rafforziamo la capacità operativa dell’esercito svizzero e possiamo garantire la disponibilità dei sistemi di sicurezza nazionali. Le cooperazioni si inseriscono nel quadro della nostra libertà imprenditoriale, ma tengono sistematicamente conto del contesto giuridico e politico, in particolare di quello stabilito dalla Segreteria di Stato dell’economia (Seco). Quest’ultimo viene regolarmente rivisto e adattato alle evoluzioni geopolitiche. Rispettiamo il diritto alla libertà di espressione e alla manifestazione pacifica. Nel contempo, desideriamo sottolineare che Ruag svolge le proprie attività nel rigoroso rispetto delle disposizioni legali vigenti».