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Schermo del Festival: l’‘abbiamo sbagliato’ porterà al dietrofront?

Incontro vivace ma interlocutorio fra i vertici della rassegna cinematografica e i soci (molti i critici) riguardo al ripristino dell'iconica struttura

La nuova struttura portante durante il montaggio, a fine luglio
(Ti-Press)
10 settembre 2025
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Dialogo, dialogo, dialogo. Era quanto auspicava l'ex presidente del Festival Marco Solari di fronte alla contestazione dei protestatari contro il pensionamento dello schermo del Vacchini da una parte, e l'indolente sufficienza inizialmente dimostrata da parte dei vertici della rassegna dall'altra; indolenza che sarebbe stata rotta soltanto dalla tardiva ammissione di un “corto circuito” comunicativo fatta dal Ceo Raphaël Brunschwig. Il mantra del dialogo è tornato in auge questa sera al GranRex durante l'inusuale incontro con i soci del Festival convocato dalla Direzione per dirsi prima piuttosto sbrigativamente che le scelte artistiche (e di etica non solo culturale) continuano a essere paganti nel panorama internazionale – tutti d'accordo – e poi, con più trasporto, che l'unica strada per uscire dall'impasse generata dalla scelta di immagazzinare la creazione del Vacchini a beneficio di una “di serie” targata Nüssli è in effetti quella del dibattito. Il problema è che le argomentazioni di una e dell'altra parte sono note e consolidate da tempo e un eventuale cambio di rotta per tornare alle origini dovrebbe per forza passare da un'ammenda completa e totale da parte di chi ha deciso di cambiare. A noi pare oggettivamente difficile che ciò possa accadere, ed è tutta da inventare una formula che consenta agli uni e agli altri di mantenere, rispettivamente ottenere, soddisfazione. Vedremo.

Dall'incontro – condotto dal vicepresidente Luigi Pedrazzini, al tavolo con la presidente Maja Hoffmann, il Ceo Brunschwig e il direttore artistico Giona A. Nazzaro – è sostanzialmente emersa la fragilità dei principali motivi per cui si è deciso di puntare sul nuovo schermo: quello finanziario si riduce a un asserito risparmio di 150mila franchi (come annunciato, anche se in realtà sarebbero solo 130mila) su un budget di 17 milioni di franchi; quello della tempistica è evaporato dovendo constatare che in effetti a montare il nuovo schermo si è impiegato non meno tempo, ma di più. «Ma era l'anno zero», ha chiosato il Coo Mattia De-Sassi.

Dalla sala si sono levate voci qualificate e critiche da parte di locarnesi Doc come Silvano Giannini, Roberto Pomari e naturalmente Michele Bardelli, l'architetto che aveva lanciato il dibattito e poi promosso la petizione, le cui oltre 9'400 firme raccolte verranno tra l'altro consegnate venerdì dal comitato promotore ai vertici del Festival e alla Città, proprio nello Studio Vacchini (oggi condotto dalla figlia di Livio, Eloisa, e da Simone Turkewitsch). Tutti hanno in fondo chiesto rispetto per i profondi legami territoriali della rassegna (esigenza sottolineata anche dalla presidente Hoffmann), ribadendo di parlare per il Festival, e non contro di esso.

Interessante anche l'intervento del sindaco di Locarno, Nicola Pini, che rispondendo proprio a Pomari riguardo al tema della contiguità temporale fra Festival e “Moon&Stars” (da lì l'esigenza di condividere la struttura) ha tenuto a sottolineare «l'assoluta centralità del Festival e dell'audiovisivo» nello sviluppo strategico di Locarno, il che presuppone un netto vantaggio, a livello di considerazione, per la rassegna cinematografica rispetto a quella musicale. Inoltre, anche in qualità di membro del Cda del Festival, Pini ha riconosciuto degli errori nell'avvicinamento alla scelta di cambiare struttura dello schermo, ma anche voluto sottolineare che il Locarno Film Festival è un luogo «dove talvolta è possibile rompere i tabù». Su quest'ultimo aspetto, è consentito rimuginare.