Ignazio Cassis ripercorre le due tragedie: dalle ore più drammatiche alle richieste di più aiuti fino al rischio di abbandono delle vallate minacciate
«È un triste giorno, un momento difficile per i comuni, per la regione del Moesano, i Grigioni, il Ticino, la Svizzera italiana». Sono le 14 di domenica 23 giugno 2024 e il consigliere federale Ignazio Cassis apre a Roveredo la conferenza stampa convocata per fare il punto della situazione in Mesolcina dopo il maltempo del venerdì sera che ha portato devastazione e causato tre vittime; un'ora dopo seguirà il loro sopralluogo. A poco più di un anno di distanza dall’evento che ha duramente colpito diverse comunità, lo abbiamo intervistato.
Cosa le è rimasto maggiormente impresso visitando le zone disastrate?
Mi sono recato sul posto insieme al presidente del Consiglio di Stato grigionese Jon Domenic Parolini e al consigliere di Stato ticinese Christian Vitta. Le immagini della potenza devastante della montagna restano impresse nella mia memoria. Così come il nome del villaggio forse più duramente colpito: ‘Sorte’. Un nome che suona quasi come un monito, un richiamo al destino che ci accomuna, quello della vulnerabilità umana di fronte alla natura. Quella tragedia, purtroppo, si è ripetuta con ancor maggiore intensità dapprima nell'alta Vallemaggia e poi a Blatten, in Vallese, poche settimane fa. In quei momenti mi è tornata alla mente una riflessione di Antoine de Saint-Exupéry: “Ciò che dà un senso alla vita, dà un senso alla morte”. È proprio questo, in fondo, che conferisce senso all’azione pubblica: evitare l’inaccettabile e preparare le nostre società all’imprevedibile.
Qual è stata la sua priorità in quel momento e qual è stata nelle settimane e mesi successivi?
Lo stesso giorno ho contattato il collega Albert Rösti per segnalare la gravità della situazione e la necessità di ripristinare al più presto la rete autostradale, in coordinamento con il Canton Grigioni per quella locale. Con la presidente della Confederazione Viola Amherd ho quindi discusso del sostegno dell’Esercito alle operazioni di soccorso; un impegno già allora apprezzato sul terreno dal comandante regionale della polizia cantonale, William Kloter. Il tema è stato successivamente trattato anche in Consiglio federale, per garantire il pieno sostegno della Confederazione.
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La conferenza stampa convocata a Roveredo nel primo pomeriggio di domenica 23 giugno
Subito si era posto il problema dell’A13 interrotta e la necessità di sensibilizzare le regioni e nazioni a nord in vista degli esodi estivi. Ancora una volta l’attraversamento delle Alpi, sempre più sollecitato, ha denotato un sistema fragile, per di più soggetto a eventi estremi che sembrano manifestarsi con maggiore frequenza. A livello federale la politica sta lavorando su varie ipotesi, con l’obiettivo di meglio gestire gli importanti flussi specialmente attraverso il Gottardo. Ma la partita sembra coinvolgere anche i Paesi vicini. Secondo lei, quale sarebbe la chiave di volta sul piano internazionale?
È un dato di fatto: la rete stradale e autostradale fatica a tenere il passo con l’intensificarsi della mobilità. La posizione geografica della Svizzera la rende un nodo strategico per l’attraversamento delle Alpi, ma anche un punto di pressione crescente, che richiede un dialogo costante con i Paesi vicini. Sul piano interno il dibattito resta aperto: da un lato vi è chi chiede un potenziamento delle infrastrutture; dall’altro chi ritiene necessario contenere la domanda, affinché si adegui a una capacità sostenibile. È emblematico il referendum del 24 novembre 2024, quando il popolo ha respinto col 52,7% il pacchetto di potenziamento delle strade nazionali; un voto che ha messo in luce il dilemma tra aumento delle infrastrutture e contenimento della domanda. A livello internazionale, la chiave di volta non può che essere un coordinamento efficace. È ciò che il Consiglio federale promuove, anche nel quadro del pacchetto negoziale con l’Unione europea per stabilizzare e modernizzare le relazioni bilaterali. Solo con una visione condivisa e una responsabilità comune potremo affrontare sfide che, per natura e impatto, travalicano i confini nazionali.
Da Mesolcina e Vallemaggia più voci istituzionali locali hanno da subito invocato una maggiore generosità da parte dei Cantoni e della Confederazione nel sostenere le regioni colpite. Alla fine la cifra stabilita da Berna è stata di 56,5 milioni, ma si è comunque percepita una certa ‘distanza’ fra Confederazione e Sud delle Alpi. Come si potrebbero evitare queste incomprensioni? Su cosa occorrerebbe lavorare?
Avevo ricevuto diverse segnalazioni dalla Vallemaggia che rendevano evidente la gravità della situazione. Verificando, ho constatato che in Ticino era in corso un ampio dibattito pubblico, ma che a livello federale non aveva trovato risonanza. Ho quindi contattato il presidente del Governo, Christian Vitta, per comprendere come si stessero muovendo i Comuni, il Distretto e il Cantone. L’ho invitato a recarsi a Berna con una delegazione per presentare direttamente la questione al collega Albert Rösti, che ho sensibilizzato in quanto non era a conoscenza del dibattito in Ticino. Questa vicenda dimostra una realtà importante: i proclami mediatici non bastano, e anzi possono rivelarsi controproducenti. Quando si vuole ottenere ascolto e sostegno, è necessario spostarsi di persona, instaurare un dialogo diretto con i consiglieri federali competenti e agire con spirito istituzionale. Dopo la visita della delegazione ticinese a Berna, il Consiglio federale ha deciso, nella sua seduta del 21 maggio 2025, di elaborare un messaggio straordinario al Parlamento per sostenere, con mezzi supplementari, le regioni particolarmente colpite. La procedura di consultazione sarà avviata in autunno. Se approvato, il pacchetto prevede che i costi residui delle infrastrutture danneggiate nei Cantoni Ticino, Grigioni e Vallese siano coperti per metà dalla Confederazione e per metà dai Cantoni. Si tratta di un gesto di solidarietà federale, fondato non su un diritto, ma su una scelta politica che esige un dialogo istituzionale solido, tempestivo e credibile.
Una nazione in parte alpina come la Svizzera è stata antropizzata nell’arco dei secoli in zone geologicamente sensibili e sempre più minacciate anche a seguito del cambiamento climatico. Proprio il Ticino è un ‘caso’ emblematico. C’è chi ritiene che questa situazione non sia più sostenibile e che meglio sarebbe abbandonare determinati territori. Quale opinione ha in merito?
La Svizzera è il frutto di secoli di convivenza tra l’uomo e un territorio fragile ma vitale. Le Alpi non sono solo una barriera naturale, ma uno spazio di vita, di cultura e d'identità. Pensare di abbandonare determinati territori può sembrare, in apparenza, una soluzione razionale. Ma sul piano umano, sociale e storico sarebbe una rinuncia profonda e dolorosa. Detto questo, è evidente che le risorse pubbliche non sono illimitate. Non tutto ciò che è tecnicamente possibile è sempre sostenibile sul piano collettivo. È qui che si pone un vero dilemma etico: tra il dovere di proteggere ogni comunità e quello di garantire l’equità e l’efficacia dell’azione pubblica. La sfida, dunque, non è tanto tra ‘resistere’ e ‘rinunciare’, quanto piuttosto quella di trovare un equilibrio responsabile, caso per caso. Servono strumenti di valutazione chiari, un confronto trasparente con le popolazioni interessate, e una visione politica che sappia coniugare solidarietà e sostenibilità. Il Ticino, come altre regioni alpine, ci obbliga a porci queste domande con coraggio. E a rispondere con lucidità.