
Sono le parole di Alisina, il 24enne afghano che da 2 anni viveva in Verzasca e che martedì è stato riportato con la forza in Croazia, nel centro Porin
«Qui non vivo, sopravvivo».
Lascia poco spazio all’interpretazione, quanto ci racconta (con tanto di immagini, che a loro volta parlano da sole) Alisina dalla Croazia, più precisamente dal centro per richiedenti l'asilo Porin di Zagabria, dove il 24enne afghano che da oltre due anni viveva in Verzasca è letteralmente stato "spedito" martedì, dopo essere stato rimbalzato fra Zurigo e il Ticino. «Le condizioni igieniche e logistiche sono davvero pessime ma soprattutto non mi sento proprio a mio agio – afferma sconsolato Alisina, da noi raggiunto telefonicamente –. I miei coinquilini fumano in stanza (cosa ovviamente vietata, ndr) e non mi trattano bene, non fanno altro che criticarmi. La Polizia è presente e dovrebbe garantire la sicurezza, ma io non mi sento per nulla al sicuro, mi fanno paura. È davvero difficile stare qui».
Al malessere psicologico si aggiunge quello fisico... «Non mi sento bene e ho un mal di testa davvero forte, ma non sono ancora riuscito a vedere un medico».
In una situazione del genere, in cui «ogni giorno sembra lungo un anno», la mente vola spesso alla Verzasca, la valle che l'ha ospitato e dove ha saputo farsi apprezzare. In primis nella pensione in cui alloggiava e lavorava come cameriere e aiuto cuoco. Impegnato e volenteroso, ha rapidamente imparato l'italiano e due volte alla settimana si recava a Locarno per insegnarlo ai suoi compatrioti. Finito il lavoro, come hobby, giocava a calcio, mentre di notte seguiva online un corso di Bachelor in informatica... «I miei amici mi mancano molto, vorrei essere lì con loro. Non so se potrò mai rivederli, se potrò tornare indietro, in Ticino. Ci sono state persone che sono state mandate qui in Croazia e poi sono tornate in Svizzera, dove sono state imprigionate per tre mesi e poi sono state rimandate qui. In una situazione del genere non è facile rimanere positivi, ma nonostante tutto la speranza di poter tornare un giorno in Verzasca è ancora viva».
Alisina, lo ricordiamo era giunto in Svizzera nel febbraio del 2023 e aveva fatto domanda di asilo. Invano, fino al Tribunale federale. Così il 3 aprile due poliziotti lo avevano prelevato mentre dormiva – dando seguito a un ordine di carcerazione della Sezione della popolazione – trasferendolo a Zurigo, in una prigione amministrativa, in attesa del rinvio forzato in Croazia il Paese europeo in cui si era registrato. A Zurigo il giovane aveva avviato uno sciopero della fame e inoltrato un ricorso contro la carcerazione; ricorso accolto dal giudice per due motivi: la carcerazione non era proporzionata e le motivazioni della Sezione della popolazione erano “inconsistenti”. Così venerdì scorso v'era stato il ritorno in Ticino, a Lugano. Dove la storia si è però ripetuta lunedì 14 aprile, ovverosia tre giorni dopo, con il trasferimento a Mendrisio e il giorno seguente di nuovo a Zurigo, dove è stato messo su un volo speciale per Zagabria, in un paese tristemente noto per un sistema d'asilo definito “violento e razzista” a causa di “umiliazioni, furti, aggressioni sessuali, insulti xenofobi, condizioni di vita e igieniche malsane e promiscue e un sistema sanitario scadente”.
Una situazione denunciata dalle amiche e gli amici di Alisina in Valle Verzasca, assieme ai collettivi R-esistiamo e Stop Dublin Croatie, che insieme chiedono il ritorno immediato in Svizzera del giovane “e delle persone che erano con lui”, con conseguente presa in carico svizzera delle domande di asilo; e “uno stop ai rinvii in Croazia e ai rinvii Dublino in generale, perché è un sistema disumano che aggiunge violenza alla violenza e tratta gli esseri umani come cose”.