Fatti di Aurigeno, è il giorno delle difese. Per l'uccisore non è stata chiesta una pena specifica ‘per rispetto dei familiari della vittima’
Se si è arrivati al tragico epilogo dell'uccisione non è soltanto per colpa dell'omicida, ma anche della ex moglie e del suo nuovo compagno (cioè la vittima), i cui atteggiamenti nei suoi confronti, e in parte anche nei confronti delle figlie, concorrevano a esacerbare i conflitti anziché risolverli o almeno attenuarli. Tutto ciò ha concorso a fomentare la rabbia di un uomo già fortemente prostrato per la situazione familiare che stava vivendo.
È la convinzione espressa oggi da Fabio Bacchetta-Cattori, legale del 44enne che l'11 maggio 2023 uccise con tre colpi d'arma da fuoco l'allora custode del Centro scolastico ai Ronchini di Aurigeno, con cui la moglie dell'uccisore aveva appunto una relazione.
A fronte della pesantissima richiesta di pena formulata dal pp Roberto Ruggeri, che martedì aveva auspicato la pena massima, e cioè la detenzione a vita, il difensore dell'uomo ha contestato la qualifica del reato di assassinio, ammettendo al massimo quella dell'omicidio per dolo eventuale. «Non voleva commettere nessun assassinio: voleva fare del male, anche sparando, ma non siamo nel campo dell'assassinio. Sparando, il mio assistito non ha nemmeno potuto prendere la mira, perché stava correndo. E non pensava neppure di aver colpito la vittima. Si è fermato dopo che il rivale, con un “ahi”, si era lamentato per il dolore». Bacchetta Cattori non ha formulato una specifica richiesta di pena; si è limitato ad auspicare una derubricazione del reato, rimettendosi, anche per la quantificazione, al giudizio della Corte. «Questo – ha sottolineato – per rispetto dei figli e dei familiari della vittima».
Dopo le repliche, come da prassi, agli imputati è stato consentito di prendere la parola prima che la Corte si ritirasse in camera di consiglio. Il 44enne, dicendosi pentito, ha chiesto scusa ai familiari della vittima (e anche a chi «mi ha conosciuto com'ero prima e che è rimasto deluso da me») e garantito la sua intenzione di aiutare i figli rimasti orfani anche di padre, entro il limite che gli sarà consentito. Scuse sono state espresse anche dal 33enne, che in carcere avrebbe capito i suoi errori.
In apertura di mattinata avevano parlato l'avvocato Gianluigi Della Santa per il 33enne che aveva fornito all'omicida la pistola e l'avvocato Matteo Poretti per la 34enne che secondo l'accusa aveva funto da intermediaria. Poretti, difendendo la tesi della sostanziale estraneità ai fatti della sua assistita, ne ha chiesto il proscioglimento affinché «sia lasciata libera di continuare a vivere la sua vita, crescendo sua figlia». L'accusa aveva invece chiesto, per lei, una pena di 7 anni per complicità in assassinio.
A Della Santa spettava invece il non facile compito di gestire due incarti molto diversi fra loro ma confluiti nello stesso atto d'accusa: da una parte i fatti di Aurigeno, con l'accusa di complicità in assassinio appunto per la vendita della pistola; dall'altra, il filone dei permessi facili, nel quale il 33enne sarebbe stato, secondo l'accusa, «una figura centrale». In relazione ai fatti valmaggesi il legale ha garantito che il suo assistito «non aveva gli elementi per capire che l'altro stesse orchestrando un assassinio». Per Della Santa, una pena equa per il 33enne non può superare i 48 mesi di detenzione (anziché 10 anni – 7 per Aurigeno, 3 per gli altri reati – chiesti dall'accusa).
Da domani è prevista la camera di consiglio della Corte presieduta dal giudice Amos Pagnamenta, la cui sentenza è attesa venerdì dalle 16.30.