laR+ Alta Vallemaggia

‘Cicatrici indelebili, il dolore che rimane’. Alta Vallemaggia, un anno dopo

Nella notte fra il 29 e il 30 giugno ’24 una spaventosa alluvione martoriava il territorio da Cevio alla Lavizzara, fino alla Bavona: 7 morti e 1 disperso

In sintesi:
  • ‘Durante la prima conferenza stampa parlavo ma pensavo ai miei figli, di cui ancora non sapevo nulla’
  • ‘Il torneo al Draione si farà già quest’anno: decisione importante e giusta’
(Gabriele Dazio e Wanda Dadò durante un incontro con la stampa a Prato Sornico, il 3 luglio 2024)
28 giugno 2025
|

Un suono sordo, continuo, rabbioso. Traduce l’impensabile. Poi l’alba: quella del 30 giugno 2024 è l’appendice di un incubo insonne. Innanzitutto i morti: quelli accertati saranno sette. Di un giovane, disperso, ancora oggi non si possono piangere le spoglie. Ovunque, distruzione. In una notte 50 eventi naturali maggiori si sono verificati fra Lavizzara e Valle Bavona. Prato Sornico, il Piano di Peccia e Mogno martoriate dagli elementi. Fontana è stata percorsa da un Titano in picchiata: per metà risulterà cancellata. A Cevio cede il ponte: la cesura fra civiltà e disperazione. L’Alta Vallemaggia, isolata, è in ginocchio. È il tempo del dolore; sarà quello della memoria.

Gabriele Dazio: ancora oggi, ricordando, la sua voce si spezza.

È stato un grande lutto, per me e per la comunità. Un anno dopo ci accorgiamo che non è stato superato. Le cicatrici rimarranno: sono segni indelebili dentro di noi. Posso solo immaginare cosa abbia significato, per le famiglie, perdere delle persone care. Il mio sentimento di vicinanza rispetto al loro dolore è intatto.

Un territorio ferito e irriconoscibile, due comunità traumatizzate: lei e la sua omologa Dadò le avete dovute rappresentare e sostenere.

Di quelle prime ore ricordo ogni singolo istante e ripenso in continuazione al primo volo in elicottero per osservare i danni. Quando ho rimesso i piedi a terra era come se non fossi più in me: non sapevo dov’ero e mi chiedevo se fossi in grado di gestire tutta quella situazione; come essere umano, prima che come sindaco del mio comune. C’è, poi, un’altra circostanza che mi è rimasta impressa: durante la prima conferenza stampa, tenuta a Locarno domenica pomeriggio, io parlavo, ma era come se non fossi lì: il mio pensiero più profondo era focalizzato su due dei miei figli, dei quali dal giorno precedente non avevo nessuna notizia. Sapevo solo che erano al Piano di Peccia per il torneo di calcio. Ci ripenso ancora spesso e quel senso di angoscia non mi abbandona.

Nei giorni seguenti sono arrivati impegno, speranza e, forse, anche orgoglio.

Credo che essermi ritrovato a essere il sindaco in un momento terribile come quello sia stato un segno del destino, o del Signore, e nel contempo anche una grande scuola di vita. Non sta a me giudicare il mio operato, ma so per certo che ho dato il meglio per trovare sempre le migliori soluzioni a favore della comunità. In qualità di sindaco vivo questo percorso come una forma di rispetto per la mia gente. Il discorso dell’impegno vale anche per tutti i miei colleghi di Municipio, che hanno dimostrato una grande unità, per il bene comune. È successo nella drammatica fase dell’emergenza e sta continuando a succedere sulla strada di una nuova progettualità. Si fa un bel dire del ruolo dell’autorità in simili circostanze, ma un altro conto è il fare. Posso garantire che è tutto meno che scontato.

Non sapere più dove ci si trova, come successo a lei dopo aver sorvolato il territorio martoriato, e non sapere più chi si è, in un contesto totalmente cambiato. Le conseguenze del maltempo vanno oltre la componente materiale e toccano quella identitaria.

Questo è del tutto naturale e riguarda gran parte della popolazione dei nostri territori e di quelli della Valle Bavona. Ma anche nel tempo dello smarrimento emerge la necessità di guardare avanti. Al Piano di Peccia, ad esempio, dove gli eventi hanno colpito durissimo, in un anno già molto è cambiato. Abbiamo investito oltre 700mila franchi in bonifiche agricole e realizzato valli di protezione; adesso si comincia con la sistemazione delle arginature. Purtroppo, diverse zone non potranno essere sistemate: rimarranno nella nostra memoria come testimoni di ciò che è stato. Quando giro sul nostro territorio in Lavizzara, ma anche nella Valle Bavona, dove sono forestale, nei boschi vedo degli immensi blocchi giunti fin lì con antiche frane. Allora penso che altre genti hanno vissuto e sofferto ciò che a noi è successo un anno fa e hanno dovuto farsene una ragione.

Alla prova dei fatti, la tanto decantata solidarietà federale è sembrata scricchiolare: con la collega Dadò e il Consiglio di Stato avete dovuto andare a Berna per perorare un aiuto supplementare e straordinario.

Dopo il disastro erano arrivate parole tranquillizzanti: siamo in Svizzera, i soldi ci sono e non verrete abbandonati. Promessa che invece, a un certo punto, sembrava svanire. Non a causa del Cantone, ma della Confederazione, che aveva determinato una situazione di stallo e di grande insicurezza. Abbiamo dovuto attendere, poi c’è stato il viaggio a Berna. Per fortuna nel consigliere federale Rösti abbiamo trovato una grandissima persona, molto sensibile, capace di ascoltare e di capire che gli aiuti straordinari sono assolutamente indispensabili, perché da soli non ce l’avremmo mai fatta.

Torniamo al Piano di Peccia, sul campo Draione. Un anno fa avrebbe potuto diventare teatro di una tragedia inimmaginabile. Oggi – come l’imminente prima pietra del nuovo ponte a Visletto – è un simbolo di resilienza. Gli organizzatori hanno deciso: il torneo verrà riproposto già quest’anno.

È una decisione molto importante e anche giusta, secondo me. La posso paragonare a quella, presa come Municipio, di mettere una pista provvisoria a Prato Sornico per l’inverno appena trascorso. Così sul torneo abbiamo dato il nostro assenso. Naturalmente andrà fatto a determinate condizioni, predisponendo dei piani di emergenza e di sicurezza. Sono segnali di speranza fondamentali verso la comunità.