L’associazione Consultorio e Casa delle donne lancia un progetto in tutela dei bambini che accompagnano le madri nella struttura protetta
Ansia, depressione, difficoltà scolastiche, problemi relazionali. È soltanto un elenco sintetico delle numerose conseguenze indesiderate, e purtroppo inevitabili, che colpiscono i minori, testimoni diretti o indiretti dei maltrattamenti perpetrati all’interno delle proprie mura domestiche. Questo fenomeno si chiama violenza assistita e si intende l’esposizione del bambino a qualsiasi forma di maltrattamento – compiuto attraverso aggressioni fisiche, verbali, psicologiche, sessuale ed economica – da persone di riferimento o da figure affettivamente significative. Un fenomeno che esiste ma che appare poco visibile poiché spesso l’attenzione si concentra esclusivamente sulle donne vittime di violenza, mentre i loro figli, che ne sono esposti in prima persona, passano in secondo piano. È per loro che l’associazione Consultorio e Casa delle Donne, che da 36 anni si occupa di supportare e accogliere vittime di simili situazioni, ha creato un nuovo progetto che prenderà avvio il prossimo 1° luglio con l’inserimento di una nuova figura specializzata all’interno della struttura protetta. L’associazione, riconosciuta e sovvenzionata dal Cantone attraverso un mandato di prestazione con l’Ufag (Ufficio del sostegno a enti e attività per le famiglie e i giovani), riceverà, per quest’iniziativa, un finanziamento del 50%, in termini di risorse umane, per la durata di un anno. Ne abbiamo parlato con due membri del comitato, Barbara Stämpfli e Marianna Meyer e la coordinatrice del progetto, che per questioni di riservatezza preferisce l’anonimato.
«L’associazione ritiene che i minori che fanno esperienza della violenza assistita all’interno del contesto familiare – spiega Meyer – vanno considerati come vittime a tutti gli effetti, che riportano ferite profonde che – se non adeguatamente curate – possono accompagnarli per tutta la vita e in alcuni casi creare un danno intergenerazionale». I dati statistici contenuti nel rapporto di attività 2024 dell’associazione evidenziano come il fenomeno sia in crescita. Lo scorso anno sono state ospitate 27 donne e, con loro, 32 bambini, 13 minori in più rispetto all’anno precedente. Nel 2022, i minori che sono passati dalla struttura protetta insieme alle loro madri sono stati 17, mentre nel 2021 ‘solo’ 8. «Questo evidente aumento – afferma Stämpfli – ci ha sicuramente spinti verso la creazione di un ambiente di supporto integrato per i bambini, e abbiamo così pensato di offrire loro assistenza educativa e sociale per favorirne il benessere e lo sviluppo complessivo». Bambine e bambini, aggiunge, «non sanno difendersi e spesso sono invisibili, ma la loro protezione è urgente e necessaria, tanto quanto quella delle loro madri».
Per queste ragioni, e in conformità alla Convenzione di Istanbul, ratificata dalla Svizzera nel 2017 ed entrata in vigore nel 2018, il Consultorio ha deciso di avviare un progetto che li accompagni durante la permanenza nella Casa delle Donne in maniera mirata e tutelante. Attualmente, l’associazione offre il Consultorio, un ufficio di primo orientamento nell’ambito della separazione, del divorzio e delle problematiche familiari. Un servizio gratuito in cui è garantito l’anonimato che informa e indirizza le persone verso professionisti esperti del territorio che possono fornire un supporto mirato e specifico per ogni situazione. La Casa delle Donne è invece una struttura protetta in cui vengono offerti vitto, alloggio, consulenza e sostegno alle vittime di violenza domestica. Da luglio, le educatrici proporranno un accompagnamento educativo specifico anche ai loro figli. Fino a oggi una figura che si occupasse esclusivamente dei minori non esisteva. «Prima avevamo un’educatrice di riferimento per nucleo familiare – racconta la coordinatrice – e quindi i figli venivano seguiti dalla stessa persona che si occupava della madre. Per questo abbiamo deciso di cambiare il lavoro a livello operativo per far sì che il minore venga considerato come persona a sé stante a tutti gli effetti e che venga dato rilievo ai suoi bisogni specifici».
Un lavoro che è stato possibile anche grazie al confronto diretto con l’organizzazione mantello delle case protette della Svizzera e del Lichtenstein (Dao). «Lo scorso anno – ci dice la coordinatrice – l’organizzazione ha avviato un progetto volto ad attuare una politica di protezione dei bambini accolti nelle case protette e siamo stati subito coinvolti. Ogni struttura è stata interpellata in fasi diverse della creazione di una Carta per il lavoro educativo ed è così che è emersa la volontà di inserire una nuova figura professionale anche al nostro interno». Per l’associazione, «è altrettanto importante riuscire a lavorare con le mamme, che spesso faticano a seguire i propri figli in un contesto di violenza. Per questo proporremo da un lato supporto ai bambini, e dall’altro – senza alcun tipo di giudizio – forniremo alle madri gli strumenti necessari per capire i segnali di disagio dei propri figli», precisa Stämpfli. «Cercheremo – aggiunge la coordinatrice – di costruire un percorso insieme a loro perché per noi la centralità rimane l’autodeterminazione della donna. Tutto viene fatto con il loro consenso». Due percorsi in parallelo che intendono poi ricongiungersi per il benessere delle parti coinvolte.
Attraverso questo servizio mirato, l’intento è inoltre quello di fare prevenzione. «Il bambino – illustra Meyer – capisce a ogni età e sviluppa per sua sopravvivenza delle strategie di difesa che poi lo portano ad avere conseguenze a livello emotivo, scolastico e relazionale. E da questo può derivare un danno intergenerazionale. Diversi studi dimostrano che il rischio di riprodurre in età adulta gli stessi modelli disfunzionali è elevato. Possono diventare vittime a loro volta o autori di violenza. Per questo occorre intervenire per prevenire e sensibilizzare la società su questo tema». Una sensibilizzazione, commenta la coordinatrice, «che facciamo e continueremo a fare anche nelle scuole – dalle quali i bambini sono costretti ad assentarsi per il periodo in cui sono in protezione – e nei Pronto soccorso dell’Eoc. È fondamentale riuscire ad attivare una rete anche per le necessità dei minori, che già esiste, ma che potrà fare affidamento diretto sulla figura specializzata e che agevolerà il lavoro di tutti quanti». Perché, precisa, «il nostro compito non si limita alla protezione e al sostegno delle donne vittime di violenza, ma si estende alla sensibilizzazione dei professionisti e della comunità. È un lavoro di collaborazione, al fine di promuovere una cultura del rispetto e di equità di genere».
Guardando al futuro, l’auspicio dell’associazione è quello che da progetto si trasformi in qualcosa di più duraturo. «Negli anni – informa Meyer – si è parlato di più del tema dei maltrattamenti assistiti, ma purtroppo non al punto da poter trasformare i progetti – che hanno una durata determinata – in veri e propri programmi. Per riuscire a combattere questo fenomeno bisogna garantire una continuità che attualmente non si riesce a garantire». Il sostegno finanziario dato dal Cantone, conclude Stämpfli, «è senza dubbio molto apprezzato, tuttavia riteniamo che per riuscire in questa lotta e nel riconoscimento dei bambini in quanto vittime a sé stanti, servano finanziamenti più duraturi. Per farlo questo tema deve essere portato al centro dell’attenzione della società, perché va ricordato che la violenza domestica e sulle donne non è un fatto privato, ma che riguarda tutta la collettività».