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Don Gianfranco Feliciani si prepara a lasciare Chiasso: ‘C’è un tempo per tutto’

Dopo 24 anni l’arciprete della cittadina pensa a passare il testimone. E racconta: ‘Questa è una parrocchia particolare’

Quello con Chiasso e la sua gente è stato un dialogo appassionato
(Ti-Press/Archivio)
2 maggio 2025
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Don Gianfranco Feliciani si accinge a salutare la ‘sua’ Chiasso. Lascerà la Parrocchia cittadina e con essa la ‘carica’ di arciprete. Dopo ormai 24 anni ha fatto la sua scelta. E l’ha comunicata in veste ufficiale mercoledì sera all’assemblea parrocchiale, riunita per sancire un altro avvicendamento, quello alla presidenza del Consiglio parrocchiale. Vertici parrocchiali con i quali don Feliciani ha concordato i suoi passi. Anche l’amministratore apostolico della Diocesi di Lugano, monsignor Alain de Raemy, ne è già al corrente.

L’annuncio, certo, non può lasciare indifferente la comunità, dopo quasi mezzo secolo di cammino comune. In tanti ricordano il giorno, nel settembre del 2001, quando don Feliciani, originario di Rancate, ha fatto il suo ingresso nella Parrocchia, in arrivo da Tesserete. «Ma questa mia decisione è una notizia?», ci interroga subito quando lo raggiungiamo al telefono. «In fondo è ovvio – fa chiarezza don Gianfranco Feliciani –. Insomma, la mia comunicazione non è di sicuro un fulmine a ciel sereno. Che si sappia: non sarò arciprete fino a 80 anni. E io di anni ne ho 73 e mezzo. I vescovi, ad esempio, sono obbligati a dimettersi una volta giunti a 75 anni, i preti no è vero, ma questo traguardo anagrafico è indicativo. Quindi mi manca ancora un anno e mezzo e userò questi mesi per favorire la ‘transizione’. Tutto lì», chiosa con semplicità.

Un passaggio significativo

Resta il fatto che ai chiassesi farà un certo effetto, gli facciamo presente. «È normale prepararsi a passare il testimone a qualche altro sacerdote – ribadisce l’arciprete di Chiasso –. Non sarà per domani o tra qualche mese ma è questione di poco tempo. Del resto, è già un po’ che stiamo meditando, tutti insieme, all’interno della Parrocchia, su questa cosa. Bisogna preparare il futuro e non arrivare a dire, all’improvviso, che si è stanchi o malati e lasciare così, di punto in bianco. No – rimarca ancora –, occorre prepararlo. Certo, adesso non so quando lascerò o quando mi diranno di lasciare, ma questo è il tempo in cui fare i preparativi per il domani. In modo che, quando non riuscirò più a stare in piedi, le cose non restino lì a mezz’aria. D’altro canto, questo è il pensiero di tutti i preti che hanno la mia età. Poi vedremo».

Un lungo cammino insieme

Come dire, non parlate di rinuncia; che non è il caso. Monsignor de Raemy, comunque, è stato informato? «Sì, ne ho parlato con lui – ci conferma don Feliciani –. Che è contento che si mettano le cose a posto per tempo». In ogni caso la sua, a memoria (fatta astrazione da don Willy, una ‘istituzione’ per i chiassesi), è stata una delle pastorali più longeve a Chiasso e una presenza significativa per la comunità locale: la sua decisione di congedarsi, detta altrimenti, sarà sentita. «Ed è per questo che è da preparare bene, in modo che la gente non si senta privata da un giorno all’altro e veda che non si tratta di un cambiamento radicale, bensì di un passaggio graduale, dentro una continuità. Anche perché Chiasso – ricorda il parroco – è una parrocchia particolare, che accoglie i migranti, che conta la presenza di 70 nazioni. Insomma – fa capire –, non si può dire a qualsiasi prete: “Vieni tu a Chiasso”. Viene da pensare a qualcuno che già conosce la situazione locale».

Il coraggio di dire ‘Parole rischiose’

Sta di fatto che la sua voce si è fatta sentire nei momenti importanti, mostrando il coraggio di prendere posizione su temi anche spinosi agli occhi della società e della politica. Lo ha testimoniato dalle pagine dei giornali e nei suoi libri, quattro quelli pubblicati fra il 2009 e il 2021 – due titoli emblematici su tutti, ‘Parole rischiose’ e ‘Affrettiamoci ad amare!’ – o ancora promuovendo, nella notte di San Francesco dell’ottobre del 2001 appena arrivato nella cittadina di confine, una fiaccolata per la pace in momenti in cui spiravano, come oggi, venti di guerra. Oppure mettendosi alla testa, nel giugno del 2003, del gruppo che lanciò la petizione per una regolamentazione della produzione e del commercio della canapa: raccolta firme portata a Palazzo federale a Berna. Ma si potrebbero citare altri episodi, in occasione dei quali non si è sottratto neppure al confronto aspro con esponenti politici locali (della Lega in particolare); e non di rado a tornare erano i temi dei migranti e dell’accoglienza. Senza dimenticare l’idea, condivisa con Umberto Colombo, operatore pastorale da sempre al suo fianco, e l’arciprete di Balerna don Gian Pietro Ministrini, della Scuola genitori, o la mensa per i poveri. «In tantissime occasioni – ci dice – ho capito che era il gregge a guidare me, perché ero pungolato e non potevo stare zitto e fare finta di niente. E questo mi ha arricchito molto. Altro che pastore, siamo tutti pastori e tutti pecore».

‘La fede non è astrazione’

Qualche anno fa, era il settembre del 2021, in coincidenza dei suoi 20 anni a Chiasso, in un’intervista su ‘laRegione’ don Feliciani ci disse: «Il cristiano deve fare politica. Se per politica intendiamo che la Chiesa vuole istituire un partito tutto suo, nessuno in Svizzera ha mai pensato a questo. Ma se per politica si intende dare un giudizio a tutti i problemi inerenti la giustizia o la pace, allora sì: ricordiamoci che Gesù è morto in croce proprio per un fatto politico. La fede non è un’astrazione».