Data la presunzione di innocenza, l’Istituto ha deciso per ora di ‘sospendere’ il collaboratore a ‘tutela della propria immagine’
La vecchia ‘Milano da bere’, fiaccata all’inizio degli anni Novanta da Tangentopoli, agli occhi della magistratura milanese oggi mostra un altro suo lato oscuro. In questi ultimi anni il territorio della capitale lombarda e del suo hinterland sarebbe stato “svilito a merce da saccheggiare”. Questa l’espressione che, nelle conclusioni dell’Ordinanza di custodia cautelare – un documento di oltre 420 pagine –, firmata alla fine di giugno da tre pm (pubblici ministeri) della Procura di Milano, sintetizza il lavoro investigativo degli inquirenti. Destinatari delle misure sei uomini in vista della città, tra cui un assessore (dimissionario) della Giunta milanese, i numeri uno e due della Commissione paesaggio e alcuni immobiliaristi. I sei indagati – per i quali la Procura ha chiesto la detenzione – adesso si trovano agli arresti domiciliari, tranne uno dei costruttori, che è andato in carcere. Così ha deciso nei giorni scorsi il gip (giudice per le indagini preliminari) Mattia Fiorentini, il quale ha confermato le richieste dell’accusa e sposato, in buona sostanza, le tesi della Procura. Scorrendo i sei nomi rimbalzati su tutti i giornali italiani, al di qua del confine ad attirare l’attenzione è stato, in particolare, quello di Alessandro Scandurra, 56 anni, architetto e membro della Commissione paesaggio. Commissione su cui si sono, appunto, accesi i riflettori della magistratura, convinta che dei suoi membri fossero a ‘libro paga’ dei costruttori. Negli ultimi vent’anni e oltre Scandurra ha collaborato, a tempo parziale, con il Dacd, il Dipartimento ambiente costruzioni e design, della Supsi a Mendrisio come docente professionista nel corso di laurea di Architettura d’interni. Un ruolo il suo che, davanti all’inchiesta e alle sue conseguenze, ha portato l’istituto a prendere dei provvedimenti.
«Dalla metà di luglio la direzione della Supsi segue con attenzione l’evolversi della situazione – ci hanno confermato i vertici, interpellati da ‘laRegione’ –, e ciò nel pieno rispetto del principio di presunzione di innocenza del collaboratore indagato». Allo stesso tempo, l’istituzione scolastica intende ribadire, però, «con fermezza l’impegno a tutelare la propria integrità, reputazione e credibilità». Quindi, ci spiegano, «in attesa degli esiti dell’indagine e, al fine di salvaguardare la propria immagine e quella del ruolo ricoperto, la direzione ha deciso di sospendere il rapporto professionale con il collaboratore». Del resto, la Supsi tiene a precisare altresì di «essere venuta a conoscenza del coinvolgimento del collaboratore nelle indagini solo tramite stampa. Nel colloquio che ne è subito seguito – ci dicono –, è stato chiesto al collaboratore di tenere la direzione tempestivamente e proattivamente informata sugli sviluppi dell’inchiesta, sulla base dei quali verranno valutati eventuali ulteriori provvedimenti». A questo punto, insomma, non resta che attendere la fine del procedimento penale. In effetti, per il momento di più i responsabili della Suspi non intendono aggiungere.
E lui, Alessandro Scandurra? Dalle pagine dei media italiani si difende e si proclama estraneo ai fatti. Questo venerdì l’architetto sarà di fronte ai giudici del Riesame per la prima udienza. Giudici che si pronunceranno in merito alla sua posizione entro la metà di agosto. A quel punto si saprà se la privazione della libertà verrà confermata, revocata o sostituita con altre misure. Nel frattempo, il suo patrocinatore, avvocato Giacomo Lunghini, ha già depositato una memoria difensiva nella quale si ‘smontano’ le accuse mosse nei confronti del professionista.
Da un lato gli si rimprovera, di fatto, di essere venuto meno al suo ruolo di pubblico ufficiale – quale membro della Commissione del paesaggio –, omettendo di astenersi in presenza di un conflitto di interessi e intrattenendo rapporti di natura professionale ed economica con alcuni operatori immobiliari; e dall’altro di aver ricevuto parcelle – per la Procura anche milionarie – da alcune società per degli incarichi di progettazione non dichiarati ufficialmente.
Per la difesa, invece, l’architetto – peraltro autore di svariati progetti della cosiddetta nuova Milano – si sarebbe attenuto alle indicazioni del Comune per quanto riguarda la sua funzione pubblica nell’esame degli incarti, quanto alle ipotesi di corruzione sarebbero lacunose e farebbero riferimento a dossier a cui non ha neppure preso parte. In altre parole, Scandurra avrebbe segnalato con regolarità i suoi rapporti economici. Ergo, non ci sarebbero prove per muovere tali accuse. Una difesa strenua la sua a fronte delle bordate giunte dalla Procura, che nell’Ordinanza fanno riferimento a una “figura inquietante di professionista, che ha totalmente utilizzato la funzione di membro della Commisione per il paesaggio per coltivare gli interessi privati propri e dei suoi clienti imprenditori”.
E sullo sfondo? Un sistema che per la Procura si innestava su “un vorticoso circuito di corruzione, tuttora in corso, che colpisce le istituzioni e che ha disgregato ogni controllo pubblico sull’uso del territorio”. Tutto poi ruotava intorno “al fenomeno dell’incontrollato sviluppo immobiliare di investitori privati nel territorio del Comune di Milano”. Vista così uno ‘skyline’ inquietante.