Dovrà scontare 18 mesi di prigione il 40enne che ha venduto al dettaglio marijuana e hashish conseguendo un utile di 148mila franchi
La spada di Damocle che da anni gli pendeva sulla testa non è bastata a fermarlo. Nonostante condanne pregresse e un decreto d’accusa dell’ottobre 2020 legati alla vendita di stupefacenti che gli costarono una pena sospesa con la condizionale per cinque anni, il 40enne presentatosi di fronte alle Assise criminali di Mendrisio ha continuato a vivere di spaccio come se fosse un mestiere qualunque, tra panetti di hashish, contanti, beni di lusso. Il suo comportamento malavitoso gli costato l’ennesima condanna: tre anni di prigione, la metà dei quali sospesi, per infrazione aggravata e contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti, riciclaggio di denaro e violazione della legge sulle armi. La Corte, presieduta da Curzio Guscetti, ha riconosciuto la sua collaborazione alle indagini, ma anche una colpa grave, dato il suo passato e i 98,8 chilogrammi di hashish e marijuana venduti al dettaglio, prevalentemente nel Mendrisiotto. Un’attività illecita che gli ha fruttato un utile di 148mila franchi.
L’uomo, cittadino svizzero, in carcere dal 27 marzo 2025 a seguito di una segnalazione anonima, in passato era già stato in carcere. Nel 2013, per reati legati agli stupefacenti, aveva scontato due anni in carcere, cui si aggiungono anche reati legati alla circolazione stradale e il decreto d’accusa del 2020. Tuttavia, ciò non gli ha impedito di tornare nel giro: «Da quando ho scontato la pena nel 2013, inizialmente non ho consumato marijuana, poi con gli amici ho ripreso a fumare e a venderla occasionalmente per pagare il mio consumo personale – ha ammesso in aula l’uomo –. Nel 2020, a causa della pandemia il lavoro era diminuito e per mantenere il mio consumo e le spese personali ho ripreso ad acquistare quantitativi maggiori e da lì ho ricominciato».
Nel tempo, lo spaccio è diventato un vero e proprio stile di vita. Il denaro serviva per le spese quotidiane, per mantenere la figlia, per vestiti di marca e altri beni di lusso. Il tutto mettendolo in bella mostra con delle foto inviate agli amici nelle quali c’erano panetti di hashish, gioielli e anche una con la figlia sdraiata su un letto pieno di banconote.
La procuratrice pubblica Veronica Lipari ha sottolineato come l’imputato abbia fatto dello spaccio la sua attività principale, ignorando norme e ammonimenti. «Fatica a vivere rispettando le regole», ha affermato, evidenziando la gravità della recidiva e l’assenza di una reale volontà di cambiamento. Per la pp la colpa del 40enne è «grave in quanto i quantitativi di droga sono importanti e ha agito per un lungo periodo mettendo in pericolo la salute di molte persone e vendendo la droga a numerose persone». La sua proposta di pena è stata di 42 mesi, escludendo però la sospensione parziale dato l’agire «reiterato».
L’avvocato difensore Stefano Stillitano ha insistito sulla collaborazione dell’imputato, definita “fattiva e immediata”, sottolineando come l’inchiesta sia stata rapida anche grazie alle sue ammissioni. Ha riconosciuto la gravità dei fatti, ma ha chiesto di tener conto delle difficoltà personali, come l’assenza del lavoro e la nascita della figlia che «hanno influito nel suo agire». Stillitano ha contestato in parte il reato di riciclaggio, parlando semmai di ‘autoriciclaggio’ in quanto buona parte dei soldi li ha «usati per le sue spese personali quotidiane». Inoltre ha chiesto una certa «sensibilità in quanto ha una figlia piccola» e una pena massima di 36 mesi in parte sospesi per offrirgli un’altra possibilità di riscatto.
La Corte – composta anche dai giudici a latere Renata Loss Campana e Claudio Colombi – ha confermato integralmente l’atto d’accusa e ha accolto la richiesta di pena proposta da Stillitano. «La colpa oggettivamente è grave per l’ingente quantità di droga e l’alto profitto, nonostante si trattasse di una droga ‘leggera’. Soggettivamente ha pesato la recidiva, ma anche il riconoscimento della gravità dei fatti da parte dell’imputato». La pena, parzialmente sospesa, è volta a permettergli «un reinserimento professionale tramite l’ufficio di assistenza riabilitativa» con lo scopo di impedirgli «di riprendere l’attività illecita che era la sua unica fonte di sostentamento». Il presidente della Corte ha tenuto a sottolineare al condannato che questa è «un’ultima ammonizione» e che deve riprendere la sua vita in mano «per il suo bene, ma soprattutto per sua figlia».